COVID-19: VIRUS E GEOPOLITICA

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Mi sono chiesta per diversi giorni se scrivere o no. Se scrivere su un blog in una situazione di emergenza come quella attuale potesse essere utile.

Me lo sono chiesta perché in momenti di emergenza, forse più che in altri, serve ponderare le decisioni, pesare le parole. Perché le parole veicolano messaggi, immagini, determinano azioni, reazioni.  E se non sono ben soppesate,  possono generare corto circuiti.

Poi mi sono determinata a considerare che ciò che differenzia un contributo da un altro non è solo ciò che si scrive, ma l’intenzione e lo scopo con cui lo si fa.

Il mio scopo e la mia intenzione sono di portare un contributo, seppur modesto, alla lettura della mole di informazioni che viaggiano ora come non mai in un flusso continuo e velocissimo.

E’ proprio questo flusso il tesoro che contiene in sé potenzialità e vulnerabilità insieme: la potenzialità nell’ individuare informazioni utili e la vulnerabilità che risiede paradossalmente proprio nella quantità  di dati, nei quali tutti rischiamo di perderci, e di fatti, che rischiamo di mal interpretare.

Non ho pretese di essere esaustiva, e sono consapevole della relatività del mio punto di vista.

Ma ritengo che sia questo che ora possa essere messo a sistema, perché mettere a sistema le competenze può consentire di uscire realmente vincenti dall’emergenza che sta sconvolgendo le nostre vite, a più livelli e non solo nella nostra quotidianità, ora in Italia ma presto, come è ora dopo ora evidente, anche altrove.

La lettura dei dati non pare sorreggere l’idea che il 3 aprile 2020 possa essere la data in cui, in Italia, potremo dire di essere fuori dall’emergenza.

Ritengo più verosimile si tratti di una prima data, ma non la data ultima, in considerazione anche del trend attuale. Sarà necessario non solo constatare un auspicato cambiamento di rotta nel numero di persone che necessitano di cura da COVID-19, ma servirà un ulteriore periodo di monitoraggio per verificare se il cambiamento di rotta e l’ormai nota curva del contagio si stabilizzerà verso il basso.

Accadrà, è fisiologico; dire quando esattamente è complesso, forse verso la fine di maggio; forse allora incominceremo a riprendere i contatti cui siamo abituati. Ma il condizionale resta d’obbligo.

Dal momento in cui hanno incominciato a filtrare sui media internazionali le prime informazioni dalla piattaforma cinese WEBO sui casi di un ‘virus sconosciuto’ sono trascorsi 59 giorni. Circa due mesi. Non ci sono certezze sulle tempistiche future, e la ragionevolezza di fronte a una situazione critica globale che impatta su tutti i sistemi, di fronte a un virus sconosciuto, si deve gioco-forza affidare ai dati elaborati quotidianamente, alla ricerca attuale, a quelle similari precedenti e alla capacità predittiva che nasce da analisi e contro-analisi di dati fattuali.

Eppure questo, a mio parere, non basta. Sono le connessioni dai dati che vanno investigate, per includere o escludere ipotesi, per accreditare o meno letture di dati, per identificare possibili scenari futuri, per prevenire ulteriore destabilizzazione.

Mantenersi quindi ampi nella definizione dei termini, può evitare di fornire certezze che potrebbero essere disattese, e che se non mantenute potrebbe generare reazioni a catena di espressione di malcontento e di comprensibile insofferenza, soprattutto di fronte ad una doverosa, quanto comunque emergenziale restrizione delle libertà personali, con il portato di possibile ulteriore destabilizzazione.

Gli studi e le ricerche procedono nel frattempo per comprendere cause, effetti e possibili sviluppi del virus, di cui non si escludono mutazioni più o meno prevedibili.

Ai virologi, agli epidemiologi, ai ricercatori tutti, il compito di svolgere al meglio il proprio lavoro, il più scientificamente possibile, al netto di eventuali prese di posizione precostituite che siano esse di cieca rassicurazione o al contrario di avventato allarmismo, e che siano contaminate il  meno possibile da inferenze sulle motivazioni e/o sugli impatti economici e geopolitici di questo tsunami virale.

Motivazioni e/o impatti che sarebbe comunque ingenuo non considerare.

Restare, anche nella ricerca scientifica, il più possibile aderenti ai fatti concreti e sviluppare da questi riflessioni consente infatti di superare bias cognitivi. Sebbene ogni considerazione di pensiero possa infatti aprire spazi di scoperta, soprattutto in settori ed aree vergini e ad oggi poco o nulla esplorate, serve altresì lucidità nella elaborazione di ogni genere di analisi, inclusa quella correlata alla virologia.

Ciò a cui tutti assistiamo come attori e insieme spettatori sono elementi correlati tra loro, che si intersecano generando una nuova mappa nella lettura del reale che, volenti o nolenti, si sta creando e tessendo giorno dopo giorno intorno a noi, e che rischiamo di non prendere nella dovuta considerazione, proprio perché siamo, in questa mappa, completamente immersi.

Serve un distanziamento dalla mappa, per poterla vedere nella sua complessità ed eterogeneità. Esserci dentro e al contempo esserne sufficientemente fuori per averne una visione il più ampia possibile.

Si considera dato risaputo, ma è necessario ribadirlo, che l’impatto sulla salute e sui rischi per la salute dati dalla diffusione di questo virus, se per certi versi sono ad oggi noti, risultano per la stragrande maggioranza della popolazione ancora tutti da considerare, sia nella loro entità che nella loro magnitudine.

L’alta capacità del virus di diffondersi e contagiare è all’evidenza correlata alla frequenza e velocità negli spostamenti umani. Questo è dato certo.

E da questo dato certo si diramano molte considerazioni, e altrettante linee di analisi, che in questo primo contributo verranno solo delineate in linea di massima, lasciando ad altri documenti, già attualmente in fase di elaborazione, i necessari ed opportuni approfondimenti.

Ciò che ci si trova a dover fronteggiare, elemento altrettanto noto, non è soltanto la virulenza del virus, ma la necessità di dover trattare molti dei casi positivi al coronavirus con strumentazioni specifiche e con strumentazioni di terapia intensiva, disponibili -ma in maniera limitata- presso le strutture ospedaliere.

Ciò che ci si trova a dover fronteggiare è, oltre al fisiologico portato di incertezza su come curare chi si ammali di coronavirus, che queste strumentazioni oltre ad essere prima destinate a pazienti con prognosi complesse, non sono infinite, come non lo sono i medici né gli operatori sanitari tutti.

Le risorse quindi necessarie a contrastare il fenomeno virale non sono disponibili per tutti e non sono infinite. Se il fenomeno, che può essere ad oggi rallentato solo con un distanziamento sociale temporaneo, non si rallenta, la domanda di cura non potrà ricevere una risposta adeguata.

E’ o dovrebbe quindi essere piuttosto intuitivo che un’affluenza massiva di domanda al sistema sanitario in un tempo contingentato, a fronte di possibilità di risposta limitata, può avere un impatto dirompente sul sistema sanitario, e ad effetto domino su tutti i sistemi ad esso correlati.

Sono concetti più volte ribaditi, ma che non si deva mancare di ricordare per evitare di abbassare la guardia, per prenderci il tempo necessario per capire cosa sia questo virus. Questo vale a tutte le longitudini e latitudini del globo.

Tuttavia la situazione di emergenza attuale non è una situazione ‘normale’ in un sistema. Nessuna situazione di emergenza lo è. Questa nello specifico, per il suo impatto globale, si differenzia da tutte le altre.

E’ un forte scossone che determina un radicale mutamento dello scenario complessivo, ed è questo radicale mutamento, con il suo effetto domino in tutti i settori che interconnessi costituiscono le fondamenta del sistema stesso, è questo il mutamento in grado di generare instabilità.

Ogni emergenza ha una fonte e un impatto. Talvolta più fonti, di cui una assume il ruolo di elemento scatenante, andando a collegarsi con altre fonti più o meno marginali, spesso preesistenti ma anche susseguenti, generando più impatti, connessi e variegati.

Quelli già prodotti vanno ora contenuti e orientati verso la stabilizzazione.

Quelli che potrebbero verosimilmente prodursi vanno per quanto possibile identificati, analizzati e valutati nella loro probabilità di realizzazione, affinché possano essere – se del caso – efficacemente gestiti, evitando quindi che il sistema degeneri in ulteriore instabilità.

Questa emergenza ha come fonte prioritaria e/o scatenante un virus, il cui appellativo è Coronavirus , termine che si riferisce più che al virus in sé alla famiglia di virus cui questo appartiene.

Questo in sintesi è il quadro della situazione. Questo il quadro che si presenta a livello globale come minimo comune denominatore.  Che questo dramma accomuni tutti i Paesi del Mondo in una intenzione ed allineata azione globale di rinascita e solidarietà è utopia totalmente irrealistica. O potrebbe essere meglio definita, narrativa ad hoc

I dati.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la malattia respiratoria causata dal nuovo virus ‘Covid -19’: Co e vi per indicare la famiglia dei Coronavirus, d per indicare la malattia (disease in inglese), 19 per identificare la data di scoperta nel 2019.

E’ significativo che la data della scoperta del virus risalga al 2019, quando le fonti accreditate dei mass media sono riuscite a portare la notizia al di fuori dell’angusta piattaforma cinese blog di WEBO solo nei primi giorni del 2020.

Si deve al medico cinese Li Wenliang, poi deceduto, l’aver individuato pazienti nella città di Wuhan, città nella quale l’epidemia si sarebbe originata, che sembravano affetti da SARS, sin dal Dicembre 2019.

Non lo si deve quindi al governo cinese che, anzi, incriminò il medico con l’accusa di aver diffuso menzogne, proprio per aver utilizzato una chat social confrontandosi con altri colleghi su quel che stava accadendo e sugli ‘strani’ casi clinici che stava seguendo per i quali aveva individuato un virus appartenente alla famiglia coronavirus, stessa famiglia della SARS, ma differente dal virus della SARS.

Ricordare la cronologia dei fatti è cruciale, soprattutto quando si è completamente assorbiti dalle priorità emergenziali. Tendiamo a dimenticarli, in un corto circuito in cui le nostre sinapsi cerebrali non riescono, nella fase di shock, ansie e costante vigilanza e allarme, a elaborare con lucidità i dati, se non sono già ben addestrate per farlo.

Source: The Centre for Health Protection of the Department of Health of Hong KongThe Center for Systems Science and Engineering at Johns Hopkins University   Credit: Daniel Wood and Stephanie Adeline/NPR

E’ anche di rilievo considerare che più volte i mass media hanno riportato un dato di interesse: CINA, IRAN  e ITALIA sarebbero le Nazioni ad oggi con il maggior numero di casi confermati; la mappa interattiva del  The Center for Systems Science and Engineering at Johns Hopkins University mantiene costantemente aggiornati i dati.

 Source: 2020-03-17, 6.20 p.m.

Quello che sorprende è che il dato sia stato solo riportato, diffuso e non approfondito.

Non si tratta di fare speculazioni, ma di considerare alcuni passaggi importanti, su cui dovremmo porci alcune domande. E trovare delle risposte.

Tra le molte domande, ad esempio, quale sia il ruolo dell’Iran e se vi sono, e se vi sono quali sono, le connessioni con la Cina.

I dati.

Entrambi i Paesi, Cina ed Iran, oltre all’essere accomunati dal triste primato di casi di COVID -19 confermato, sono ad oggi anche accomunati dall’essere particolarmente attivi nella diffusione di teorie complottiste, che accuserebbero i Paesi occidentali ed in particolare gli Stati Uniti di essere gli artefici del virus, accuse complottiste che non sono solo consuete nella politica estera sia della Cina che dell’Iran, ma che fanno da sempre parte della dottrina militare sia Iraniana che Cinese, dottrina militare nella quale è considerata e particolarmente rafforzato anche il focus sulle proprie potenzialità offensive cyber.

Non siamo quindi solo di fronte a un virus che un vaccino, comunque realisticamente, prima o poi, potrà debellare. Il rischio reale ora è che attori stranieri che da sempre tentano il ribaltamento di posizioni di potere e di equilibri nel sistema globale in chiave antidemocratica, sfruttino, anche qualora volessimo considerare che non ne sono stati gli artefici mancando sul punto ad oggi evidenze acclarate, la situazione di vulnerabilità, crisi, confusione, destabilizzazione cui sostanzialmente nessun Paese può oggi sottrarsi, per un attacco.

Un attacco che potrebbe risultare tanto poco visibile quanto poco visibile è il Covid-19. Un attacco mascherato, ma che tanto quanto il Covid-19, può mutare con il passare del tempo. E svelarsi per quello che realmente è.

Se il contagio fisico che in Italia stiamo vivendo con cifre importanti può essere di lezione, che lo sia per noi e per tutti i Paesi che hanno a cuore la democrazia, e non certo i regimi, comunisti o di matrice islamica che siano.

Ciò significa che se siamo stati, forse un po’ tutti superficiali o poco avveduti, di fronte al diffondersi del virus in quanto microorganismo, non lavorando in prevenzione, come avremmo dovuto fare nonostante la censura cinese quanto meno sin dal 18 gennaio, ci troviamo ora nelle condizioni di poter traslare questa consapevolezza in altri ambiti. Ciò significa che potremo evitare  di reagire ad un attacco, anche solo di disinformazione, se riusciremo a lavorare prevenendolo, mettendo a sistema tutte le risorse e le competenze necessarie. Ancora una volta senza allarmismi, ma al contempo, almeno stavolta, senza inutili ingenuità.

Considerare un attacco cyber palese e di grande impatto è uno scenario che va considerato certamente, ma che è poco probabile nel breve periodo, anche se la difesa delle infrastrutture deve essere, sempre, considerata una priorità.

Il settore cyber è infatti dal 2016 per la NATO un dominio di operazioni militari, al pari dei domini di terra, aria e mare. Difesa NATO quindi dello spazio Cyber significa che l’Alleanza deve difendere se stessa tanto efficacemente come per gli altri domini, e che quindi un eventuale attacco cyber contro uno dei Paesi NATO legittima la collective defence dell’Alleanza.

Considerato però che, almeno in questo momento tutti i Paesi del Globo si stanno cimentando con la prevenzione/ contenimento/attacco/ neutralizzazione degli effetti del virus, sebbene si trovino in fasi diverse di questo processo, potrebbe essere poco probabile, ma solo bel breve periodo, che vi siano Paesi in grado di rischiare un attacco che li esporrebbe ad una risposta massiccia dell’Alleanza NATO.

Il rischio, per questi Paesi, potrebbe essere più calcolato ora, e potrebbe tradursi nella diffusione del virus della disinformazione, con attacchi cyber a tappeto, ben orientati nella loro intenzione, con un contenuto che tocchi la sensibilità dei destinatari.

Attacchi poco visibili, o visibili solo a nicchie di esperti del settore, attacchi che nell’emergenza possono essere o non visti o sottovalutati, e che nella loro portata possono anche non essere particolarmente diversi da quelli attuati in precedenza dai medesimi Paesi. In realtà le campagne di disinformazione sono già in atto, come più e diversificate fonti riportano.

Le agiscono Cina e Iran in primis.  Con pressioni e sfumature diverse, e verosimilmente allo scopo di rinforzare la propria specifica narrativa, per motivazioni di politica sia interna che estera. Per spostare il focus dalle proprie debolezze interne, decisamente esistenti, ancor prima della diffusione del Covid-19, verso l’esterno: strategia consueta questa per poter mantenere a livello internazionale posizioni di forza, nonostante le vulnerabilità interne.

L’Iran, duramente colpito dalla neutralizzazione di uno degli esponenti del terrorismo internazionale più significativo, il Generale Qassim Sulemaini, può così ora trovare terreno fertile su più fronti:

– può esercitare ed esplicitare la più volte minacciata, sin dal 2019 con il ripristino delle sanzioni a suo carico,  ‘guerra psicologica’ nei confronti dell’Occidente intero, ed in particolare degli Stati Uniti;

– può sfruttare l’occasione per tentare di rinsaldare la popolazione iraniana intorno al regime, attraverso due mosse coordinate:

1) da un lato spostando gli evidenti dissidi interni e fronteggiando la sempre più ampia scarsità di consenso interno rivestendo un nemico invisibile, il virus, con una identità fisica e visibile contro cui porsi, ovvero l’antico e per il regime iraniano sempre attuale nemico: gli Stati Uniti;

2) dall’altro, considerando le persone contagiate come ‘minaccia alla sicurezza nazionale’, pianificando di delegare sempre maggior potere al Corpo delle Guardie Islamiche Rivoluzionarie (IRGC) organizzazione terroristica, e ingaggiando i miliziani Basij, altra organizzazione paramilitare terroristica controllata dal Corpo delle Guardie Islamiche Rivoluzionarie, di recarsi casa per casa per provvedere alla disinfestazione, apparentemente provvedendo al controllo del contagio, che in tal modo invece non potrà che diffondersi ulteriormente, stante la mancanza dell’adozione di misure restrittive da parte delle autorità del regime anche solo nella città epicentro del contagio.

La Cina, dal canto suo, fortemente osteggiata nei mesi scorsi in particolare nel suo progetto di diffusione del 5G, muove oggi campagne di disinformazione più sofisticate e  meno visibili di quelle iraniane, in termini di contenuto.

Mantiene infatti ufficialmente la versione che il COVID-19 si sarebbe probabilmente generato in un mercato di Wuhan dove le persone vendevano carne di pipistrello, oscurando con il passare dei giorni sempre più, non solo la passata e odierna censura, oggi ancora una volta confermata attraverso l’espulsione di 14 giornalisti americani dal territorio cinese, ma completamente omettendo alcun riferimento alle proprie oggettive responsabilità, quanto meno in termini di ritardo nella divulgazione della notizia del nuovo virus, nonché di importanti negligenze / imprudenze nella omissione di intervento verso abitudini e consuetudini igienico – sanitarie – alimentari da parte della sua popolazione, potenzialmente in grado di forzare l’evoluzione di salti di specie di microorganismi, quale pare essere l’origine del COVID-19.

Ai virologi e epidemiologi, ancora una volta, sarà lasciata la parola finale non solo sull’origine di questo virus, ma su quali siano state le condizioni che avrebbero favorito il suo passaggio da animale ad essere umano, se tale passaggio vi è stato. Vi è da augurarsi che in questa ricerca ci si avvalga anche del contributo dei fisici. La velocità di diffusione ai limiti del quantico del virus, proprio in un Paese che per anni si è dedicato alla implementazione di tecnologie quantistiche da applicare alla telecomunicazione, è una analogia che non può sfuggire e che dovrebbe aprire ricerche mirate e specifiche anche da parte dei fisici sulle possibili origini / mutazioni e/o potenzialità distruttive del virus Covid-19 originatosi in Cina.

In aggiunta a questo, ed è  il focus che dovremmo attenzionare, la Cina tenta ora di cooptare i Paesi maggiormente colpiti dalla dichiarata pandemia.
Primo tra tutti l’Italia, dove può ora trovare terreno fertile per muovere ulteriori azioni nello scenario internazionale:

1)    ricercando spazi di potere in cui inserirsi,

2)    facendo leva sulla realizzazione della sua nota Health Diplomacy, già utilizzata e messa a punto sin dal 2011 in molti altri continenti, per aprirsi spazi in territori prima ostili o recalcitranti al suo intervento, verso la realizzazione di imprese infrastrutturali e geo/politiche tra cui la Belt Road Initiative (BRI), mediante la realizzazione di Forum di confronto scientifici e culturali, e contestuali invii di team medici cinesi su suoli altrui.

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni in Italia, è il ripetersi di ben note strategie da parte della Cina, che a tutto sono improntate tranne che a presunti intenti di aiuto e solidaristici, e che sono invece l’espressione non solo della politica cinese, ma della strategia della dottrina militare cinese, certo nota a pochi, che prevede l’utilizzo anche della Diplomazia in ambito Sanitario come strumentale e funzionale al raggiungimento di obiettivi economici e quindi geopolitici, e agli effetti anche militari.

Per questo motivo vanno approntate risorse ampie che contrastino le campagne di disinformazione, che all’evidenza hanno come scopo non solo gettare discredito nei confronti dei Paesi occidentali, ma soprattutto generare vuoto di fiducia tra cittadini e autorità, in un momento nel quale la fiducia deve essere il collante tra i vari attori sociali, questo anche al fine di ottenere il necessario consenso alla attuale altrettanto necessaria benché temporanea restrizione dei diritti.

Sfruttare o creare il terreno per vuoti di fiducia e stati di isolamento tra l’Italia, ad esempio, ed il resto dell’Europa, speculando sulla di fatto attuale incapacità dell’Europa di rendersi unità coesa di fronte alla pandemia è l’elemento trainante che consente l’attivazione della campagna di disinformazione unitamente ad una campagna diplomatica di supposti aiuti che possa agganciare le sfere politiche più alte di un Paese.

Creare vuoto di fiducia tra le popolazioni dei Paesi più colpiti, insinuarsi nello spiraglio della paura, del dubbio, dell’insofferenza al rigore oggi necessario e al rigoroso rispetto delle regole,  questo è lo scopo delle odierne campagne di disinformazione.

E oggi i target, di fronte a simili campagne di disinformazione già cavalcate dai medesimi Paesi in passato, sono estremamente più agganciabili, più influenzabili, più vulnerabili. Lo sono i decisori politici che umanamente, ma forse non opportunamente, agiscono anche per mantenere consenso politico finalizzato al dopo-pandemia. E lo sono tutti i cittadini. Tutti i cittadini costretti nelle abitazioni. Tutti i cittadini necessariamente confinati nelle loro abitazioni. Tutti target le cui funzioni neuronali hanno subito una alterazione, a causa dello shock e delle misure restrittive resesi necessarie, tutti target di un bisogno, non affatto naturale, ma totalmente indotto dalla situazione contingente della diffusione di un virus, potenzialmente prossimi a chiedere linee internet sempre più veloci, perché il contesto le richiede, la situazione contingente le richiede.

Ed ecco allora che in questa ottica lo scenario assume contorni più definiti,ed inquietanti: piovono fiumi di progetti e cascate di finanziamenti, anche in situazioni di emergenza come quella attuale, per e-commerce, e-government, e-learning, smart-working. A cui seguiranno a ruota, verosimilmente, richiesta di connessioni veloci, rapide.  Tutto che viaggi sul virtuale. Il più rapidamente possibile.

La Cina, la cui implementazione del 5G pareva negli ultimi mesi bloccata da evidenti problemi di sicurezza, rilevati dagli Stati Uniti, e solo parzialmente dall’Europa, dopo aver tentato invano di sfondare le barriere imposte dai problemi di sicurezza, si ritrova ora ad un passo dal veder trasformata una propria esigenza di mercato in ‘bisogno’ indotto della popolazione, nientemeno che globale.

E si ritrova nelle condizioni di poter assumere, potenzialmente, il ruolo di chi può fornire un servizio tanto richiesto. La veste salvifica di ‘chi ha sconfitto il virus’, omettendo censure, silenzi, segreti, shutdown di social network, regimi, dovrebbe poter tessere una sorta di legame fiduciario nei confronti della Cina. Questa potrebbe essere la strategia cinese, stando ai fatti e dati odierni.

Solo valutazioni ingenue e cieche potrebbero considerare casuale tutto questo. Che questo scenario fosse la motivazione originaria o solo l’impatto della diffusione del Covid-19 non è ancora giunto il momento per dirlo. Certamente  si tratta di una conseguenza, diretta, lineare, automatica. Persino ovvia.

Che la Cina sia la sola attrice proattiva dell’attuale scenario è tuttavia una lettura parziale.

L’Iran, secondo Paese per numero di contagi, ha il suo epicentro di diffusione del Covid-19 nella città di Qom, cuore e centro del collegamento economico tra Iran e Cina, collegamento che ha consentito sino ad oggi all’Iran di sopravvivere di fronte alle sanzioni economiche americane.

Non solo.

L’Iran, economicamente dipendente dalla Cina, mantiene costanti voli con la Cina, voli mai sospesi neppure in questa fase di pandemia, di fatto in questo modo mantenendo completamente attiva, e proattiva, un’alta diffusione del contagio.

I voli sono gestiti dalla compagnia aerea iraniana Mahan Air, compagnia aerea iraniana che è stata sottoposta sin dal 2011 a un pacchetto di sanzioni del Dipartimento del Tesoro americano con l’accusa di finanziare e sostenere il Corpo delle Guardie Islamiche Rivoluzionarie (IRGC), organizzazione militare terroristica affiliata al governo iraniano ed inserita in una black list di entità terroristiche.

Poco presente nel mercato europeo, la compagnia iraniana ha invece mantenuto contatti e tratte con l’Italia, con scali a Roma e, in particolare a Milano, e solo il 30 ottobre del 2019 l’ENAC ha emesso un comunicato ufficiale bloccando, in netto ritardo rispetto ad altri Paesi europei, e solo dopo la mobilitazione di interrogazioni parlamentari di una parte del Parlamento italiano, i programmi aerei precedentemente autorizzati, ma solo a far data dal 15 dicembre 2020.

E’opportuno rimandare alla cronologia degli eventi, che rinvengono il primo caso di coronavirus in Cina in data 08/12/2019 e la diffusione della notizia a livello internazionale solo a Gennaio 2020.

Non può pertanto escludersi che la Mahan Air, e quindi l’Iran attraverso questa sua compagnia aerea, si sia reso vettore e veicolo, più o meno consapevole, del contagio in Italia, dove la tratta aerea è stata attiva fino al 15 dicembre 2019.

Ciò che invece è certo è che ancora oggi la Mahan Air funga da veicolo e vettore del contagio da Covid-19 che sta sconvolgendo il globo, il tutto con l’ampia cooperazione della Cina.

Nonostante la diffusione del contagio l’Ambasciatore Chang Hua all’Ambasciata cinese a Teheran ha infatti incontrato lo scorso 2 febbraio in un meeting ufficiale il CEO della Mahan Air, sostenendo come affermato da un twitter dello stesso ambasciatore cinese che il CEO della compagnia Mahan avrebbe confermato di essere pronto a continuare la sua cooperazione con la Cina,

Le formali rassicurazioni circa l’utilizzo della compagnia aerea per aiuti umanitari poco si conciliano con le comprovate finalità terroristiche della linea aerea, e sarebbero peraltro smentite dalle notizie secondo cui la compagnia aerea starebbe effettuando voli, ieri in India ad esempio, per riportare persone dall’Iran nel Paese di origine.

Considerato che la Mahan Air è oggetto di sanzioni per finanziamento e supporto ad attività terroristiche, che le sue azioni sono pertanto da considerare e valutare con una chiave di lettura sia di azione che di intenzioni terroristiche, non certo civili, e considerata la stretta cooperazione con la Cina, il ruolo di partneriato strategico tra Cina e Iran, nella situazione contingente, è poco probabile possa escludersi.

Se stiano entrando nuovi attori in questo cinico gioco di speculazione su una pandemia globale è visibile.

E’ di oggi la notizia che l’Italia ha richiesto medici a Cina, Cuba, e al Venezuela, tutti Paesi connessi  tra loro da un comune denominatore, il supporto e le buone relazioni con l’Iran e con la Cina, come dimostrano alcuni dati:

•   per il Venezuela ricompare l’iraniana Mahan Air che avrebbe già discusso l’apertura delle sue tratte verso Caracas nell’Aprile 2019;

•   l’Iran ha apertamente supportato il presidente Venezuelano Nicolas Maduro, sottoposto a sanzioni statunitensi;

•   la compagnia aerea venezuelana Conviasa, che aveva dovuto sospendere per un periodo i propri voli, ora opera con destinazione Bolivia, Ecuador, Panama, Nicaragua, Repubblica Domenicana, e Cuba;

•    Cuba ha sottoscritto con l’Iran una serie di Memorandum of Understanding nel gennaio 2019, per rafforzare le reciproche relazioni in vari settori tra cui il settore delle biotecnologie;

•    Cuba sembra considerare la Cina come importante benefattore;

•     il Venezuela ha nel 2018 sottoscritto con la Cina 28 accordi internazionali.

Tutti gli indicatori aprono strade da investigare e sembrano evidenziare lo scenario presente di evidenti correlazioni tra il Covid-19 e alleanze geopolitiche e strategiche che la pandemia fa gioco-forza emergere, e lo si ribadisce tese ad una prima lettura a un ribaltamento degli equilibri geopolitici in chiave antidemocratica.

La valutazione di questi indicatori emergenti dalla attuale fase di crisi, la pronta risposta unitamente al pronto e rapido fronteggiamento della campagna di disinformazione già in atto, può consentire di prevenire azioni di co-optazione non solo di Governi ma di parti intere di popolazioni, minacce che in embrione sono già visibili.

Come ulteriore considerazione, che supporta le conclusioni del presente contributo, ritengo rilevante evidenziare che c’è un Paese che, significativamente, non è balzato all’onore delle cronache, e il cui successo potrebbe essere certamente considerato una minaccia alle attuali azioni strategiche, in particolare cinesi, finalizzate alla cooptazione e destabilizzazione, Taiwan. Fonti rivelano che la strategia anti-coronavirus di Taiwan si è fondata innanzitutto,  sulla considerazione delle prime informazioni circa lo ‘strano virus’ come urgenti e prioritarie da analizzare per la sicurezza. L’alta vigilanza immediata, le misure proattive, la condivisione delle informazioni con la popolazione senza nulla di celato, in assoluta e totale trasparenza, e l’utilizzo strategico della tecnologia per l’analisi di dati sono gli elementi di base della strategia. L’ispezione dei voli da parte delle Autorità di Taiwan è iniziata sin  dal 31 Dicembre, il divieto di accesso ai cittadini della città cinese fulcro del virus  si è attivata dal 23 Gennaio, il 25 Gennaio sono stati sospesi i viaggi in Cina e ai visitatori Cinesi è stato bloccato l’accesso  il 6 Febbraio.

Avendo riconosciuto che sarebbe stato necessario rafforzare  l’equipaggiamento medico sia per gli operatori sanitari che per la popolazione, il governo di Taiwan ha bloccato l’esportazione e richiesto contestualmente alle aziende locali di implementare vertiginosamente la produzione della strumentazione medica, comprese le maschere per il viso, di cui il Governo stesso ha controllato la distribuzione tra la popolazione assicurando in tal modo l’assenza di speculazione sulle stesse. Al fine di assicurare  un coordinamento efficace, Taiwan ha allestito un Centro di Comando unificato, che gestisce le risorse, mantiene briefing giornalieri e gestisce i messaggi per la popolazione. Le autorità si sono inoltre mosse velocemente per  tracciare le persone contagiate  e mappare i casi per verificare le fonti del contagio. L’educazione alla popolazione relativamente ai rischi della malattia e alla precauzioni da adottare è stata attività sin da subito attraverso televisione e manifesti, come parte integrante della strategia anti-coronavirus. L’uso della tecnologia è stato attivato per analizzare grandi quantità di dati, sviluppando piattaforme on line per informare la popolazione su dove le mascherine sono disponibili e su dove sono state le persone risultate contagiate. Le persone in effettiva quarantena sono state chiamate frequentemente e hanno dovuto mantenersi reperibili per essere sicuri non lasciassero la loro residenza.

Paradossalmente, o forse non proprio paradossalmente, ciò che ha comportato il successo della strategia di Taiwan è da un lato l’aver fatto tesoro dell’esperienza SARS nel 2003, e dall’altro l’essersi attivati con una attitudine volta a mantenere una altissima vigilanza a tutto ciò che proviene dalla Cina, informazioni comprese.

Proprio la stessa Cina che oggi agli occhi di qualcuno, oggi, in piena emergenza, viene pericolosamente considerata fonte e simbolo di affidabilità.

Gli esempi di successo contro il coronavirus ci sono, non servono Nazioni salvifiche, che attentino alla nostra identità. Servono sforzi congiunti, coordinati, competenti. Serve che eventuali accordi, anche economici e commerciali, ad esempio per rifornire le risorse interne scarse di dispositivi medici di sicurezza, siano gestiti tramite negoziazioni capaci e consapevoli dell’interlocutore che si ha di fronte, per evitare di essere portatori di un approccio remissivo e generatore di dipendenza e sudditanza. La Negoziazione in situazioni di crisi assume contorni e caratteristiche specifiche, per le quali non ci si può improvvisare:differisce, moltissimo, dalle Negoziazioni abituali che concludono accordi quotidiani.

E serve infine che i Paesi da sempre alleati dell’Italia facciano squadra insieme, per evitare interferenze esterne, spesso purtroppo per nulla disinteressate, quando non apertamente malevoli.

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