DALLA PARTE DEI BAMBINI. ITALIA E PANDEMIA:TEMPO DI TORNARE A SCUOLA.

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La valenza educativo-didattica della scuola, messa in letargo, va risvegliata, tornando nelle classi, quelle reali.  

Ogni Paese civile che si rispetti ha il dovere di prendersi cura dei più piccoli. Perché il Tempo e lo Spazio che ognuno di noi occupa nel viaggio terreno ha un termine, breve o lungo che sia; sia che si pensi che l’anima tornerà nuovamente su questa Terra, sia che si pensi che continuerà altrove il suo Viaggio Infinito. In ogni caso, l’anima è qui ora, vive dentro il corpo di ognuno di noi. Mai come ora chiede di essere ascoltata, con verità. Oltre le proprie certezze sull’Infinito, ciò che è certo per tutti è che siamo qui, e ora, a qualunque longitudine o latitudine, e che siamo chiamati a non eludere la domanda forse più cruciale tra tutte le domande che potremmo mai farci.

E’ una domanda che accoglie tutte quelle odierne: ‘Quando ne usciremo? Come ne usciremo?’

Le accoglie e le sintetizza in una sola dimensione: come stiamo dando senso al nostro vivere, qui e ora? Quale senso daremo poi? Quale eredità lasceremo in termini di evoluzione degli esseri umani, di rispetto, di rispetto per se stessi e per gli altri, di capacità di trascendere i propri particolarismi ed i propri singoli punti di vista, non per annullarli, ma per rivitalizzarli e renderli costruttivi con quelli degli altri? 

E quindi: Quale segno e quale futuro saremo in grado di lasciare ai piccoli che ora sono già qui con noi, e ai futuri bambini che verranno ed abiteranno questa Terra? Perché, alla fine, questo è davvero tutto ciò che conta.

 

Guardare negli occhi smarriti e pieni di domande un bambino, in questi giorni di pandemia, ci richiama tutti, indistintamente, o dovrebbe farlo, alle nostre responsabilità più autentiche.

Dovrebbe scuotere le nostre coscienze, farci vibrare nel profondo di sdegno per la censura di un regime cinese che, nello scenario migliore, ha ritardato la diffusione della notizia del virus impedendo così a tutti l’adozione rapida di cautele da parte di molti Paesi, tra cui l’Italia.

Rimarchevoli sono tuttavia le voci che si levano con sempre maggior vigore, benché non conclusive, sulla possibilità di un rilascio del virus dal laboratorio di Wuhan, un rilascio che potrebbe essere accidentale o intenzionale. In ogni caso, resta certo, fermo, e unanimemente concordante il fatto che la censura del governo cinese abbia ritardato la diffusione della notizia del virus. Con i danni che da questo è derivato. Danni a tutti noi, danni ai nostri bambini e ai nostri ragazzi.

Non si potranno eludere le responsabilità per sempre. E le domande troveranno una risposta.

Guardare negli occhi un bambino, che sta subendo un lock down pesantissimo in Italia, dovrebbe renderci inflessibili nella promessa a noi stessi che la sofferenza attuale dei nostri bambini e dei nostri ragazzi si concluderà al più presto e che in quanto adulti ognuno di noi si assumerà la responsabilità di ridare loro la libertà di una vita piena, e di perseguire nei dovuti modi chi si è reso responsabile di tale scempio all’umanità e all’infanzia.

E’ così che si incontrano occhi spesso affossati dentro visi pallidi che reclamano sole e movimento e vita e il ritorno a scuola, e che  reclamano l’ascolto di infanzie e adolescenze travolte da qualcosa di invisibile, intangibile, e per questo ancora più disorientante.  Qualcosa che lascia ai più piccoli un senso di confusione, sconforto e dubbio, il tutto misto a una assoluta tanto quanto improvvisa privazione di libertà.

I bambini  e i ragazzi, che trascorrevano la maggior parte del loro tempo di vita tra i banchi di scuola, hanno dovuto improvvisamente lasciare tutto, senza poter comprendere, senza poter elaborare, senza poter raccontare cosa pensavano, cosa provavano. Senza poter salutare i loro amici, senza poter salutare i loro Insegnanti. La perdita di riferimenti, cruciale per la stabilità psico-emotiva dei piccoli e dei ragazzi, è stata decretata in modo improvviso: un colpo di spugna e in meno di 12 ore in tutta Italia la loro vita è stata trasformata. La loro libertà spezzata.

La libertà di esplorare il mondo con meraviglia, con quella magica sensazione che spesso noi adulti perdiamo, quella sensazione di una Vita tutta da vivere, sbagliando e rialzandosi, litigando e riabbracciandosi, sognando, e sapendo nel profondo di sé che i sogni possono avverarsi. Tutti.

La libertà di crescere, imparando a conoscere se stessi tanto quanto a conoscere il vicino di banco, il rispetto degli spazi propri e altrui, dei confini propri altrui, anche fisici, perché la reale convivenza e legalità parte da queste piccole, ed insieme immense, scoperte.

La libertà di scegliere tra compiere il proprio dovere scolastico, e quella di non farlo. Ed assumere le conseguenze del proprio agito. Perché questo è gettare il seme della responsabilità che è personale e collettiva allo stesso tempo.

La libertà di scoprire che ci sono Insegnanti in grado di riconoscere il valore dei propri Studenti, al di là dei loro errori, e che sono in grado di porre i confini cruciali del NO, entro i quali con autorevolezza e rispetto riportare i propri Studenti alla loro natura di esseri umani capaci di costruttive e sane relazioni sociali, capaci di gestione delle proprie emozioni.
La libertà di crescere e di fare esperienza di conoscenza e di relazione oltre le mura domestiche, sia quando sono confortevoli e solide, costruite su affetti e abbracci autentici, sia quando sono invece fragili e talvolta poco protettive. Perché tutto questo è crescere, tutto questo è consentire ai bambini e ragazzi di sviluppare intelligenza emotiva e cognitiva, acquisire competenze di autonomia, di pensiero divergente e critico, unica modalità di pensiero davvero capace di dare voce al vero sé più profondo, che è diverso ed unico per ognuno di noi, al contempo consentendo al pensiero altro da sé di convivere quando espresso con mutuo rispetto e pacificamente.

Nella odierna situazione, le Famiglie hanno fatto del proprio meglio. Lo hanno fatto tra l’angoscia per ciò che stava accadendo e lo sguardo dentro gli occhi dei loro bambini, lo hanno fatto con coraggio e con amore. Tutte. Anche quelle famiglie nelle quali si respirava sin da prima della pandemia una convivenza difficile e critica, e nelle quali la coppia di genitori si è trovata costretta a forzare una tolleranza già prima ai limiti del sostenibile.

Molti Docenti hanno fatto del proprio meglio.

Singoli Dirigenti Scolastici hanno fatto del proprio meglio, talvolta mostrando una luminosa capacità di mettere a sistema umanità, professionalità e capacità di coinvolgere tutte le componenti di quel particolare Universo che è la Scuola, spesso criticato, e spesso a ragione, ma che in alcuni casi ha saputo esprimere, in questa odierna pandemia, eccellenze umane da porre in modo incondizionato a disposizione dei bambini, dei ragazzi, delle loro famiglie.

Perché una Scuola, ad ogni livello di responsabilità, è chiamata non certo solo a garantire il diritto all’istruzione e il diritto alla salute come malamente anche ad alti livelli è stato asserito da decisori politici. La Scuola è luogo privilegiato, agenzia educativa in cui si favorisce lo sviluppo della personalità di ogni individuo: competenze, conoscenze, sviluppo emotivo, psicologico, fisico, in una crescita il più possibile armoniosa per ogni individuo, all’interno di un patto educativo di corresponsabilità con le Famiglie.

La necessaria chiusura per contenere il Covid-19 e per un virus che ci ha investito dalla Cina, era inevitabile. Sottolineo, era.

Lo era perché proteggere i minori è un dovere sancito e scolpito in ogni Costituzione dei Paesi democratici, è un dovere che risuona nelle dichiarazioni universali internazionale che molti Paesi hanno sottoscritto e ratificato, facendole diventare Diritto del proprio Stato, imprescindibile. Lo era perché quella che è stata definita ‘guerra’ non poteva che portare a scelte significative. Una guerra è un conflitto esacerbato. Ed in ogni conflitto i bambini vanno protetti.

Lo sanno bene Istituzioni internazionali come le Nazioni Unite che negli anni hanno sviluppato un crescente riconoscimento ed un significativo rafforzamento del quadro giuridico in materia di bambini e conflitti, e altre Istituzioni internazionali come la NATO che riconosce parimenti prioritaria la protezione dei bambini nei conflitti, in particolare nei conflitti armati, ma non solo. La protezione dei bambini quindi è considerata non solo un imperativo morale ma è strutturata all’interno di una cornice di riferimento nella quale Nazioni Unite e  NATO, ognuno per le proprie specificità,  cooperano e si impegnano da tempo, l’una accanto all’altra, nel riconoscere la necessità inderogabile della protezione dei bambini nei conflitti. Si tratta di un principio cruciale per l’Alleanza NATO che considera questo non solo una questione di pace e sicurezza di propria competenza, ma una priorità, parte integrante della propria visione e della propria missione. Se questo è senza dubbio un dato certo e noto nel caso di conflitti armati, forse non è noto ai più che all’interno di questo contesto di riferimento la NATO ha provveduto a sviluppare nel corso degli anni quella che viene chiamata Gender Perspective.

Il termine ‘Gender’ ha avuto, soprattutto negli ultimi anni, e soprattutto in Italia, applicazioni e digressioni linguistiche ampie e variegate, ed è stato in diversi modi contestualizzato. Il fatto che sia stato un termine più o meno usato, quando non abusato, esula tuttavia dall’intento e dallo scopo di questo contributo. Ciò che invece è necessario chiarire, per sgomberare il campo da qualsiasi dubbio, è che l’espressione Gender Perspective di origine NATO, nulla ha a che vedere con i tentativi di politicizzazione da parte di alcuni decisori istituzionali nazionali, che l’hanno ridotta, erroneamente, a una istanza di equiparazione di ruoli e posizioni tra persone di genere maschile con quelle di genere femminile all’interno dei contesti politico-militari della NATO, o che l’hanno addirittura ripiegata su istanze femministe, facendola divenire del tutto inopportunamente vessillo di presunta riscossa femminile verso un presunto mondo  assolutista e maschilista.

Al netto del fatto che sia necessario continuare a coltivare, per la piena realizzazione degli obiettivi di pace e stabilizzazione della NATO, il mutuo e coordinato apporto e un’integrazione reciproca tra specificità dell’individualità femminile e specificità dell’individualità maschile tra coloro che lavorano all’interno dell’Alleanza NATO, preme precisare che questo processo negli ambienti NATO, sia politici che militari, non solo è già avviato da tempo, ma si trova oggi ad un livello decisamente avanzato.

L’errato approccio riduttivo e retrogrado sopra richiamato ha quindi purtroppo spesso svuotato di senso la portata di significato e sostanza dell’elaborazione NATO del concetto e dell’approccio Gender PerspectiveCiò che la NATO intende per Gender Perspective è infatti la consapevolezza che la gestione di una crisi e la stabilizzazione passino attraverso la necessaria presa d’atto che si debbano tenere in debita considerazione tutti gli interessi di tutti gli attori di fatto / potenzialmente coinvolti nella crisi, restando in ascolto autentico dei loro bisogni più profondi ed interessi, ed intendendo per tutti: uomini, donne, bambini e bambine.

Al momento è pressoché assoluta l’assenza di un approccio di tale natura da parte dei decisori politici italiani, che sarebbero invece chiamati ad adottarlo.

Quando infatti i Paesi sono sconvolti da crisi eccezionali, e l’odierna pandemia lo è, ogni individuo risponde in modo non solo assolutamente specifico, ma facendo emergere le peculiarità delle proprie caratteristiche di genere e di età correlate al genere.  E a tali peculiarità sono correlati bisogni specifici, che devono essere soddisfatti, perché solo un approccio integrato, un comprehensive approach  di  elaborazione  NATO, può garantire il successo nella gestione di un conflitto o di una crisi.

In particolare i più piccoli, siano essi bambini e adolescenti, subiscono durante situazioni di crisi profondissimi sconvolgimenti, soffrendo enormi problemi psicologici, fisici, emotivi e mentali, dati dal fatto che i loro ambienti sociali sono messi sotto stress, e viene meno o viene fortemente limitato l’accesso ai sistemi di relazione e di supporto consueti.

La forzata interruzione dei sistemi di relazione e supporto che la scuola garantiva, e che non può garantire con modalità e-learning, è stata una conseguenza della pandemia, che è in sé evento traumatico, in particolare proprio per i bambini e i ragazzi, che non hanno gli strumenti potenzialmente necessari ad elaborarla in modo autonomo.

In quanto evento traumatico, come tale dovrebbe essere affrontato, anche da un punto di vista neuroscientifico, per avere un quadro il più possibile completo della situazione e quindi fronteggiarla, adeguatamente, e non con palliativi che se in una fase emergenziale possono essere una risorsa utile, nel lungo periodo hanno in sé tutti i connotati per diventare il reale problema da risolvere. L’ e-learning è uno di questi palliativi, una risorsa che può tradursi con alto livello di probabilità già nel breve, così come nel medio e lungo periodo, in una silenziosa minaccia all’integrità di intere fasce della popolazione, in particolare di quelle più vulnerabili, i minori appunto, il futuro della nostra società.

 

Sforzarsi di predire futuri scenari a partire dagli indicatori attuali è la possibilità che abbiamo per depotenziare e neutralizzare gli effetti della pandemia. Lo dobbiamo a noi stessi, ma molto di più ai nostri bambini, che guardano a noi con fiducia.

Ricerche neuroscientifiche assodate concordano nel ritenere che essere sottoposti ad esperienze traumatiche molto intense o prolungate, soprattutto durante la gestazione e l’infanzia, provoca nei bambini una secrezione eccessiva e protratta di cortisolo, tale da inibire il generarsi di nuovi neuroni da parte dell’amigdala, parte del cervello che gestisce le emozioni e in particolar modo la paura, con risvolti durevoli che rende vulnerabili a subire malevoli condizionamento mentale. Un’amigdala non adeguatamente sviluppata e l’eccesso di cortisolo possono danneggiare l’ippocampo, ovvero l’area del cervello che gestisce la memorizzazione, e danneggiare l’interazione regolatrice tra la corteccia prefrontale, che è sede della coscienza, e il circuito limbico arcaico.

L’evento traumatico resta quindi incistato e non elaborato con un notevole danno per la capacità di adattamento, reazione, relazione, che rende il soggetto raggiunto dall’evento traumatico più dominabile e più dipendente.

Analogamente, stati emotivi di stress psicofisico acuto e cronico, inibiscono lo sviluppo delle attività frontali del  cervello, di monitoraggio e regolazione, e comportano l’attivazione di altre parti del cervello più arcaiche ed inconsce. Ne deriva un rallentamento importante delle capacità di evolversi, imparare, arricchirsi, ma anche di riparare e rigenerare le proprie cellule, e di recuperare energie. Lo stress diviene cronico quando l’attivazione delle risposte di allarme diventa così frequente che l’organismo si abitua a funzionare a quel livello di allerta, tanto da portare a generare risposte automatiche e acritiche.

Il prolungamento eccessivo, tanto da assumere connotati di prolungamento indebito, di una situazione di distanziamento sociale e la non riattivazione del sistema scolastico reale, ambiente fondamentale ed insostituibile di apprendimento e socializzazione, tanto quanto le comunicazioni lasciate filtrare da ambienti istituzionali inerenti il fatto che le scuole non riapriranno sino a settembre, un tempo tanto distante che i bambini non sono spesso in grado di portare a consapevolezza nella sua reale dimensione, rientrano in questo quadro di stress psico-fisico acuto e cronico.

Non va inoltre sottovalutato il disorientamento generato dallo shock che ha colpito tutta la popolazione, elemento che provoca solitamente uno stato di regressione e di ammorbidimento rendendo le persone, ed i bambini ed adolescenti in particolare, maggiormente suggestionabili, rischiando di aprire un  varco cognitivo in grado di far loro liquidare i precedenti convincimenti e le loro precedenti lealtà  per introdurli a sistemi valoriali diversi.

A ciò si aggiunga che il ripetersi incessante di elementi che richiamino allo shock, violenti e continui, fanno sì che l’organismo apprenda a gradire e cercare di mantenere o recuperare determinate situazioni chimiche del cervello e, per procurarsi una gratificazione interna, non di rado riproduca comportamenti e atteggiamenti inadeguati al contesto, pericolosi, illeciti. L’instaurarsi di questi meccanismi può così generare, nei più piccoli e negli adolescenti, tratti della  personalità difficili da modificare a causa del meccanismo organico cui sono ancorati. Può quindi prevalere il bisogno di creare in modo distorto un benessere chimico interno, rispetto al bisogno di adattarsi alle circostanze obiettive esterne.

Le continue e sistematiche, quando non ossessive, esortazioni allo stare a casa, a mezzo spot o a mezzo di dichiarazioni ufficiali, che giungono in modo consistente anche in momenti di relax anche attraverso l’uso arbitrario di canali non istituzionali, irrompendo nell’intimità delle case e delle famiglie, programmi esclusivamente focalizzati sullo shock, social monotematici, continue richieste di variazioni di documentazioni per auto-legittimarsi minimi spostamenti, e lo stesso e-learning portato trionfalmente come la soluzione, non solo dell’emergenza, ma addirittura evocato come possibile soluzione strategica didattico-educativa a medio e lungo termine, rafforzano la suggestionabilità, che è di per se stessa la porta per porre in letargo il pensiero divergente, critico, quello che rende e mantiene viva una società ed il suo sviluppo, società che dovrebbe avere il suo fondamento sul benessere psico-fisico dei suoi abitanti, anche dei più giovani.

Ed infine, quando in combinazione con lo shock e lo stress, si utilizza la risorsa dell’affaticamento, la conseguenza che si genera è la disattivazione dei centri della coscienza e dell’analisi critica. La corteccia prefrontale, infatti, oltre alla funzione critica, ha la funzione di riconoscere, analizzare, valutare, imparare il nuovo, assimilare.

Somministrare all’interno di un contesto di pandemia, attraverso l’e-learning istituzionalizzato, molti stimoli, sebbene siano nuovi e interessanti singolarmente considerati, genera una situazione in cui la corteccia prefrontale lavora molto e si affatica, e che diviene via via sempre meno capace di analizzare in modo autonomo e critico. Una volta stancata la corteccia, la guida del cervello passa infatti ai circuiti limbici, più primitivi ed emotivi, pertanto più suggestionabili ed indifesi.

 

Se quindi ben si comprende che la chiusura massiva delle scuole sia stata posta in essere con l’intento di contenere la diffusione del virus, non si può non considerare che il terreno che ne è conseguito si è reso terreno fertile e vulnerabile ad attacchi di tipo malevolo e manipolatorio, anche da un punto di vista psicologico, attacchi che sono armi psicologiche nei c.d. conflitti asimmetrici. In questa prospettiva, non si può inoltre sottovalutare il fatto che si tratta di tipiche armi psicologiche utilizzate nel processo di reclutamento dei foreign fighters, come ho analizzato in dettaglio in uno dei miei ultimi libri (Michela Ravarini, Foreign Terrorist Fighters e Diritto Internazionale). Per questo motivo è fondamentale disinnescare la miccia e difendere questi terreni umani, al fine di evitare l’infiltrazione di elementi manipolatori con finalità di reclutamento, con obiettivi illeciti e antidemocratici.
Benché la maggior attenzione oggi sia volta alla emergenza sanitaria, la pandemia non elimina il rischio di terrorismo e di estremismi violenti, che anzi in genere sfruttano a loro vantaggio i contesti di crisi. Quindi, abbiamo ora il dovere di salvaguardare anche il terreno individuale dell’essere umano, lavorando e agendo in modo preventivo, con una visione a medio e lungo termine, per garantire la resilienza individuale dagli attacchi di attori malevoli.

Per questo è cruciale disinnescare la miccia, e porsi a difesa di questo terreno per evitare infiltrazioni di elementi manipolatori. In primo luogo ri-orientando l’e-learning, disinvestendo dallo stesso se ha come target i minori, e spostando gli investimenti su altro nel mondo della scuola.

Lo si ribadisce. L’e-learning in sé,  è uno strumento, interessante, una strada percorribile, per gli adulti,  che hanno già una strutturazione neuro-cognitiva formata nei suoi tratti essenziali, e che hanno, in virtù della loro età, l’autonomia di scegliere esperienze variegate e reti di relazioni significative nei vari settori della propria vita.

Per bambini e adolescenti, la cui struttura neuro-cognitiva è in via di formazione e per i quali in particolare, come dovrebbe essere noto la relazione è apprendimento e l’apprendimento è relazione, l’e-learning può essere solo uno strumento temporaneo, sporadico, solo riferibile a situazioni di urgenza e da dismettere quanto prima.

E’ infatti potenzialmente canale preferenziale, soprattutto in un contesto di pandemia, attraverso cui poter attivare altri strumenti che mirano a un processo di silenziamento del pensiero divergente, e attraverso cui  derive ideologiche, di controllo generalizzato e derive autocratiche possono trovare spazio ed attecchire. Sono derive molto ben conosciute dalla Cina, che infatti fa uso massivo dell’e-learning, spingendo a progetti in tal senso anche in seno all’UNESCO.

Preme ribadire che, anche ala luce dei questa pandemia, dovremmo aver imparato, decisori politici inclusi, a guardare con occhio consapevole ciò che proviene dalla Cina, passando al setaccio ogni elemento che viene dal suo regime descritto come ‘brillante e promettente iniziativa’, la ‘risposta cinese ai problemi’ che altro non è che soft – power politico, ideologico, economico e militare all’opera.  Il progetto e-learning non fa eccezione, ne è una estensione ed una applicazione.

Alcuni indicatori quindi:

– a seguito del ritardo nella informazione sul virus cinese COVID -19, la misura estrema della chiusura delle scuole, necessaria per contenere il contagio, non poteva che richiedere l’attivazione di modalità altre quali l’e-learning per mitigare gli effetti delle misure restrittive sull’educazione,

– è stato lo stesso UNESCO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO COVID-19 Educational Disruption and Response) ad individuare questa misura come risorsa di fronteggiamento all’epidemia;

– l’UNESCO è l’Agenzia educativa delle Nazioni Unite specializzata nell’educazione, è incaricata di coordinare l’Agenda educativa 2030, ha come suo terzo contributore la Cina, e nel recente passato ha appoggiato progetti di e-learning avanzati dalla Cina e rivolti ad influenzare l’educazione in particolare in Africa(UNESCO ChinaFunds-in-Trust project);

– la Cina sta lavorando sin dal 2015 alla diffusione dell’e-learning sia all’interno del proprio territorio sia all’esterno, in particolare in situazioni di post-crisi / post-conflitto, riconducendolo, con la narrativa consueta già evidenziata nello scorso contributo sulla Cina autocratica, alla necessità di sviluppo sostenibile, in realtà utilizzandolo come strumento di indottrinamento, soprattutto dopo che nel 2015 il ministro dell’istruzione cinese ha vietato la diffusione dei c.d. Valori Occidentali tra gli studenti universitari, ovvero i c.d. 7 NO cinesi: No ai valori universali (libertà, eguaglianza,diritti umani), No alla libertà di parola, No alla società civile, No ai diritti civili, No al riconoscimento di errori del Partito Comunista Cinese (tra cui il Massacro di Piazza Tianmen), No al capitalismo, No all’indipendenza giudiziaria;

– l’e-learning in Italia a livello istituzionale è gestito dalla piattaforma di classe digitale WeSchool, come visibile sul sito del Ministero dell’Istruzione;

– Marco De Rossi è a capo di WeSchool, start up avviata come Oilproject nel 2009, che in quello stesso anno attivò lezioni su tematiche non solo di informatica, cercando quindi una prima espansione della piattaforma virtuale verso temi culturali più ampi, e scegliendo come proprio biglietto di presentazione la trattazione di temi quali, appunto, le dinamiche cinesi, il controllo e l’uso politico dell’innovazione secondo la ricetta cinese, e la c.d. wikicrazia (orientamento appartenente al Movimento 5 stelle oggi al Governo e supporter della partnership cinese), che oltre a reclamare  la necessità di una democrazia all’epoca 2.0 promuoveva l’attivismo del c.d. Civil hacking, inteso come la necessità di “hackerare le istituzioni per renderle più trasparenti, legittimandolo come tentativo di avvicinarsi a quelle fasce della popolazione che, non sentendosi rappresentato, si auto-isolerebbero dalla vita pubblica;

nel 2016 Marco De Rossi lancia quindi WeSchool, finanziata da Club Digitale, TIM Ventures e Club Italia Investimenti, dichiarando di voler spostare il suo focus dall’Italia all’Europa, e di voler sfidare i grandi player internazionali come Google Classroom, Apple iTunes U e Edmodo”, è oggi partecipata da Telecom Italia, Club digitale, Club Italia investimenti;

-We School, che ha trovato oggi il suo trampolino di rilancio ulteriore, ha al suo interno WeSchool Library e si presenta come uno dei progetti di divulgazione culturale più massivi in Italia, divulgazione culturale che verosimilmente continuerà a farsi portavoce di orientamenti cari alla cultura e ideologia cinese, con cui condivide quanto meno una assolutista visione verso l’e-learning;

-Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato il 17 aprile un ‘Avviso pubblico per la realizzazione di smart class per le scuole del primo ciclo‘ con l’obiettivo di ‘dotare le scuole del primo ciclo di istruzione di devices da assegnare, in questa fase emergenziale, in comodato d’uso gratuito alle studentesse e agli studenti che ne siano sprovvisti, al fine di garantire forme di apprendimento a distanza e il diritto  allo studio. Superata la fase emergenziale, i  dispositivi digitali acquistati dalle scuole potranno essere di supporto alle ordinarie attività didattiche.’, l’avviso pubblico ha scadenza 24 aprile.

Questi indicatori sollevano alcune considerazioni e domande, nella consapevolezza che ogni tecnologia ha un forte impatto dal punto di vista economico, sociologico, politico.

In considerazione dell’avviso pubblico citato, pare verosimile che il lasso temporale considerato ‘emergenziale’ dagli attuali decisori politici vada ben oltre il ventilato 4 maggio 2020 quantomeno con riferimento al settore dell’educazione.

Non può sfuggire ed allarmare che, mentre altri Paesi anche europei,dalla Danimarca alla Francia alla Germania alla Norvegia, colpiti dalla pandemia si avviano all’apertura e si stanno mobilitando per  ritorno dei bambini a scuola, ben comprendendo quanto questo sia fondamentale per la protezione della loro salute psico – fisica, per il loro sviluppo di apprendimento e motivazione, per la fuoriuscita costruttiva dalla crisi, l’Italia si stia muovendo in assoluta contro tendenza, in tutt’altra direzione, scegliendo la strada della costruzione di un’ grande laboratorio di scuola digitale’, come trionfalmente è stato definito proprio dalla piattaforma WeSchool.

C’è da chiedersi a beneficio di chi e di che cosa. Perché certo non è a beneficio né dei bambini né dei ragazzi. C’è da chiedersi se in questo ‘grande laboratorio’  bambini e ragazzi, le loro menti, il loro modo di pensare, le loro vulnerabilità, i loro punti di forza siano divenute ‘cavie da laboratorio psicologico’, per rendere queste generazioni avvezze al pensiero unico, tipico approccio della tradizione educativa cinese,  menti da rendere terreno malleabile e fertile per essere orientate ideologicamente. Del resto, la vicinanza tematica delle primissime lezioni di lancio di WeSchool al modello cinese erano già indicatori  di una predilezione embrionale verso modalità autocratiche, ammantati sotto l’inoffensivo concetto della ‘inclusione della innovazione digitale nell’apprendimento’.

L’Italia sta scegliendo di zavorarre un bene prezioso come l’educazione dei propri piccoli, al mondo virtuale mostrandosi non solo incapace di un serio esame di realtà ma anche, e soprattutto, mostrandosi indifferente alla doverosa e necessaria protezione dell’infanzia e dell’adolescenza, che dovrebbe essere invece più accentuata proprio in momenti di crisi come quella attuale.

Laddove altri Paesi, dall’Europa  a Taiwan alla Corea del Sud, puntano senza esitazione e stanno già attivando il rientro nelle classi, seppur con tutte le necessarie misure di sicurezza, volgendosi con lungimiranza allo sviluppo di quelli che saranno i futuri adulti del loro Paese, e garantendo loro una crescita armoniosa e quindi anche il mantenimento dello sviluppo del loro pensiero divergente, l’Italia con le sue attuali scelte sta dimenticando e violando le nuove generazioni, ancora una volta dirigendosi verso scelte Cina-centriche, assolutamente percepibili sotto traccia, sebbene poco visibili.

Non possiamo non investigarlo adeguatamente, anche in considerazione di tutti i fondati allarmi alla Sicurezza nazionale che derivano dalle aderenze alla Cina e alle sue politiche,  e alle sue modalità di soft-power anche culturale oltre che educativo.

Strategie diverse possono essere attivate in questa fase.

-Perché invece che garantire fondi per realizzare smart class, che onestamente nulla hanno di smart, in fase di riavvio del Paese e di necessaria ripartenza, non lavorare invece per organizzare la riapertura graduale anche delle scuole?

-Se si riaprono le grandi aziende e le librerie in nome della salvaguardia della cultura, perché non riaprire le scuole, che sono certamente bene essenziale per la cultura e lo sviluppo di un Paese, fosse anche organizzando gruppi contingentati di bambini e adolescenti, che possano tornare a frequentare le aule, anche a rotazione durante la giornata, in modo da consentire a tutti un graduale necessario ritorno alla realtà?

-O ancora, perché non valutare, in un Paese come l’Italia che gode spesso di clima favorevole e natura a disposizione, l’apertura di classi all’esterno delle aule? O ancora la temporanea delocalizzazione delle aule in aree all’aperto, interne o adiacenti agli Istituti scolastici, con gruppi classe interi o suddivisi in piccoli gruppi che possano ricominciare a relazionarsi all’interno di un contesto didattico, educativo e pedagogico adeguato?

-Perché invece che finanziare con cifre imponenti l’e-learning, che per sua stessa natura accentua gli effetti psico-neurologici dannosi dell’impatto della pandemia e che quindi va considerato risorsa tampone, non certo occasione strategica di un Paese, non si è colta l’occasione piuttosto per percorsi formativi specifici per i Docenti di ogni ordine e grado volti a sviluppare le loro competenze nel campo dell’educazione affettiva, dell’educazione alla gestione emotiva di situazioni critiche per bambini e adolescenti, della gestione del gruppo classe, della gestione della comunicazione, della gestione del gruppo classe in situazione emergenziale?

Le domande devono essere stimolo a una valutazione ad ampio raggio delle possibili misure da intraprendere a tutela dei piccoli della propria Nazione, e di cosa stia ostacolando in Italia l’adozione di misure altrove adottate.

Si fanno peraltro via via sempre più sparute ed isolate le posizioni dei Docenti che inneggiano alla bontà della didattica a distanza, atteggiamento che sebbene in linea con gli attuali decisori politici, è totalmente incurante e/o inconsapevole dei danni ai bambini e agli adolescenti. A questi sparuti Docenti che hanno scordato o mai sviluppato il senso del proprio lavoro, va precisato che l’e-learning non è la panacea per risolvere i gap critici di classi difficili da gestire, e tanto meno si può violare la libertà ed il diritto di formazione allo sviluppo del pensiero divergente dei piccoli di questo Paese, mantenendosi negligenti in quella che dovrebbe essere la doverosa assunzione di responsabilità nel percorrere attività di aggiornamento professionale per coltivare la propria capacità di costruire relazioni significative con gli alunni e fare in modo che gli alunni le costruiscano tra loro.

L’inerzia dei pochi e la loro negligenza non può e non deve colpire il diritto dei minori del nostro Paese ad una crescita armoniosa, che passa attraverso la riapertura delle scuole. 

Alla sempre più ampia maggioranza della classe Docente, in tutto il territorio nazionale, va invece il merito di saper esprimere con sempre più insistenza, nelle ultime ore, tutta la propria contrarietà a scelte di adozione assolutista e totalitaria dello strumento dell’ e-learning, ben comprendendo che se l’e-learning era la risorsa privilegiata per restare in contatto e mantenere la minima continuità educativa con i propri Studenti e con le famiglie, è anche profondamente consapevole dei limiti  e delle possibili derive di questo strumento, che oggi richiede di essere superato e depotenziato, perché la reale necessità è una riapertura della scuola decisamente prima della fine dell’anno scolastico 2019/20.

 

E’ a questi Docenti, e sono molti, che stanno rendendo onore al ruolo che ricoprono e alla loro funzione, mai come ora in modo così deciso, che i Bambini e gli Adolescenti e le loro Famiglie, oggi guardano con rinnovata fiducia e consapevolezza del loro ruolo, perché si stanno mostrando capaci di una visione a medio e lungo termine di protezione dell’infanzia e dell’adolescenza, e di tutto il nucleo familiare nel suo complesso, che evidentemente sfugge agli odierni decisori politici.

Con allarme, sorge il dubbio che lo shock pandemico abbia talmente impattato sul gruppo di decisori politici oggi alla guida del Paese da lasciarli totalmente in balia di una interferenza esterna, quella Cinese, da cui o non vogliono smarcarsi, perché difficile è ammettere di non aver visto gli indicatori di malevole interferenza del regime cinese, o non sanno come smarcarsi perché già in qualche misura dipendenti dalla interferenza cinese. La pervicacia di alcune prese di posizione, non ultime quelle agite in un settore tanto delicato per un Paese, come quello educativo, apre questo scenario di possibilità. Ed apre alla necessità di una presa di posizione netta da chi ha il potere istituzionale per farlo: è inevitabile e necessario riorganizzare l’assetto del potere Esecutivo del Paese oggi.

Se si vuole evitare la destabilizzazione ulteriore del Paese, anche nel breve termine, è inevitabile che il Governo venga sostituito con soggettività diverse e nuove, in grado di agire il più possibile al di fuori di dinamiche prettamente partitiche e al di fuori di dinamiche di influenza e manipolazione cinese evidentemente in atto, per dare quindi  risposte strategicamente centrate sul bene Italia come Nazione, e sui suoi abitanti, bambini compresi, ed in grado di colmare quel gap di fiducia tra cittadini e Istituzioni che si sta aprendo come una voragine ogni giorno di più nel nostro Paese.

Non lo chiede un partito politico, non lo chiede un interesse economico, lo chiede una Nazione di Bambini e Ragazzi, giorno dopo giorno sempre più colmi di dolore, sempre più al limite della loro capacità di resilienza, che reclamano, insieme ai loro genitori e alle loro famiglie, un ritorno nelle aule, dai loro compagni, dai loro Insegnanti e dai loro Professori.

A questi richiami, non si può voltare la testa. In coscienza, non si deve e non si può.

Lo ripeto: guardateli negli occhi, ascoltate le loro voci ed i loro silenzi, e poi date l’unica risposta intelligente, sana, sicura, responsabile e amorevole: riaprite le scuole e fate ripartire l’anno scolastico nelle aule, reali, le uniche vere. Perché è solo così che l’Italia potrà davvero ripartire.

 

Autore: Michela Ravarini  ©Copyright riservato 

Italia, 20200420

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