LA CINA DI XI JINPING : AUTOCRAZIA AL POTERE E RITORNO AL TOTALITARISMO.

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KEY TAKE AWAY:

Il Presidente Xi, auto-proclamatosi uomo forte della Cina, è artefice di una deriva ideologica di stampo marxista, il c.d. ‘socialismo con caratteristiche cinesi’, diventata parte integrante della stessa Costituzione della Repubblica popolare cinese, e che permea di ideologia totalitaria sia le iniziative economiche e commerciali cinesi, sia le intenzioni egemoniche cinesi di un nuovo ordine internazionale indicato dalla Cina stessa come ‘nuovo ordine globale con caratteristiche cinesi’.

Xi Jinping – Presidente  della Repubblica Popolare Cinese e Segretario generale del Partito Comunista Cinese

Prescindere dall’analisi del sistema autocratico cinese rischia di fornire non solo una visione parziale della realtà e della minaccia cinese, ma anche una visione distorta, frammentata, nella quale le azioni cinesi vengono analizzate singolarmente, poste all’interno della sola sfera economico-commerciale, senza considerare la cornice politica ed ideologica entro cui si muovono e che di fatto le coordina. E’ plausibile che l’enfasi esasperata che è stata data all’iniziativa BRI avesse, ed abbia, per quanto possa sembrare paradossale, proprio l’obiettivo di omettere e far passare in secondo piano la cornice che è l’attuale realtà politica della Cina.

L’Occidente, nel suo immaginario collettivo, tende ad associare la Cina alla fallita rivoluzione culturale di Mao Zedong, e successivamente, alle vicende del massacro di piazza Tienanmen con l’iconica immagine dello studente che, solo, si frappose invano tra i carri armati cinesi, cui era stata ordinata la repressione, e le proteste degli studenti cui si era unita la popolazione di Pechino, nel 1989, e che in piazza Tienanmen chiedevano liberà, partecipazione, diritti e denunciavano la corruzione del regime comunista. Nelle giornate tra il 4 e il 6 giugno 1989, le manifestazioni iniziate nei primi giorni di maggio 1989, vennero represse nel sangue dal Partito e dall’esercito, suo braccio armato.

AP Photo/Jeff Widener/LaPress

L’ordine della repressione brutale fu dato dal successore di Mao Zedong, Deng Xiaoping, congiuntamente al Primo ministro Li Peng, entrambi vertici dell’élite politica cinese, che, sa da un lato aveva dato il via ad una timida apertura della Cina comunista ai mercati e al commercio internazionale (con l’adesione della Cina al Fondo Monetario Internazionale nel 1981), allo stesso tempo aveva provveduto ad epurare il leader del riformismo Hu Yaobang, Segretario generale del partito comunista destituito dal suo ruolo nel 1987 da Deng Xiaoping perché favorevole ad una transizione democratica della Cina e considerato troppo vicino agli studenti, morto in circostanze non chiare nell’aprile dello stesso 1989, un mese prima dell’inizio delle proteste..

Piazza Tienanmen è un ricordo ancora oggi ingombrante per il regime cinese perché svela il volto del regime. Ora come allora. Il massacro dalle proporzioni inaudite fu l’ennesima riprova dell’efferatezza del Partito comunista cinese e dell’utilizzo personalistico del suo esercito, il PLA, da porre in campo ogniqualvolta lo status quo del Partito e della sua élite sia messo in discussione. I fatti che  si svolsero in Piazza Tienanmen tra aprile e giugno 1989 sono un buco nero della storiografia ufficiale cinese, non trovano posto sui libri di testo e nei notiziari cinesi. I rari accenni sono a quello che viene definito ‘incidente del 4 giugno’ con, a volte, un commento inneggiante al pericolo sventato per la stabilità della nazione e al ruolo egemone del partito, nel tentativo, vano, di modificarne la narrativa ed annebbiarne la memoria a proprio uso e consumo.

Tutto l’Occidente fu invece travolto ed espresse il proprio sdegno e la condanna totale di fronte alla strage di Piazza Tienanmen agita dal regime cinese nei confronti della sua stessa popolazione. E’ possibile che, non potendo far scivolare nell’oblio occidentale un massacro di tale portata, la Cina abbia lavorato ad una rivisitazione della propria immagine, nel frattempo preparandosi ad una nuova offensiva nei confronti del ‘potere occidentale’, e costruendosi quindi una narrativa ed un armamentario ad hoc, per realizzare la sua agenda politica, implementandola nelle sue ramificazioni, ma non scalfendone la sostanza ideologica.

Parte di questa narrativa è agita con modalità simboliche dalla Cina anche nei confronti del periodo storico di Piazza Tienanmen: ne è un esempio la statua in ‘onore’ di Hu Yaobang, il leader riformista destituito, inaugurata nel 2018 nella sua città natale, nella provincia meridionale dell’Hunan, approvata dal Comitato centrale del Partito e dal Consiglio di Stato. Lungi tuttavia dall’essere un riconoscimento di responsabilità da parte del regime per i fatti che portarono alla strage di Piazza Tienanmen, anche questo atto sembra rientrare piuttosto nel tentativo di modificare la percezione sia interna che internazionale nei confronti della Cina. Da un lato si utilizza in modo funzionale l’immagine riformista di Hu Yaobang, verso cui il popolo cinese sembra essere ancora sensibile, allineando in modo propagandistico il suo orientamento a quello dell’odierno Presidente e Segretario generale Xi in modo da costruire una parvenza di unità all’interno della Cina e al contempo premendo su spiriti nazionalistici, indispensabili alla sopravvivenza del Partito, dall’altro tentando di confondere l’immaginario internazionale, rinforzando l’immagine sostanzialmente irreale della Cina e del suo Presidente come interlocutore riformista e credibile.

Tuttavia, la realtà è sempre più forte delle narrative che la vogliono nascondere, e che inesorabilmente sono destinate a smantellarsi di fronte alla verità. Nel 2019 il Ministro della Difesa cinese, generale Wei Fenghe intervenendo allo Shangri-La Dialogue di Singapore, dichiarava infatti a proposito della strage di Piazza Tienanmen e delle vicende che segnarono la fase precedente alla strage: ‘Si trattò di una turbolenza politica e il governo centrale prese le misure decisive e i militari presero le misure per fermarla e calmare il tumulto. Questa è la strada giusta. È la ragione per cui la stabilità del Paese è stata mantenuta’. Specificando poi :’ I trent’anni appena trascorsi (ndr dalla strage di Piazza Tienanmen) hanno dimostrato che la Cina ha subito importanti cambiamenti e grazie all’azione del governo in quel momento il Paese ha goduto di stabilità e sviluppo’.

Generale Wei Fenghe

Il fatto che un alto esponente dell’élite politica cinese, nonché capo del Dicastero della Difesa dichiari che un massacro di studenti e lavoratori è considerato ‘giusto’ ed è l’elemento che ha fondato la stabilità e lo sviluppo di un Paese, è un indicatore la cui gravità svela senza ombra di dubbio non solo il portato violento dell’ideologia cinese anche attuale, ma anche l’ assoluta interdipendenza tra esercizio del potere militare cinese e perseguimento dello sviluppo economico del Paese, al fine di perseguire e consolidare il potere politico del Partito e dei suoi massimi esponenti, ed in particolare del Presidente Xi.

Il regime cinese non è crollato. Le etichette sono operazioni di restyling: il termine ‘comunismo’, difficilmente integrabile con la necessità e l’intenzione della Cina di essere polo egemone a livello globale, è sostituito da ‘socialismo’, termine più accettabile nell’Occidente e, se del caso, ancora sostituito con la locuzione ‘con caratteristiche cinesi’ collocata a completamento delle idee eteree con cui la Cina dipinge se stessa. La sostanza in realtà non si è modificata. Il regime è esattamente quello stesso regime cinese combattuto nelle piazze di Tienanmen e che oggi si autocelebra come portatore di un nuovo ordine globale basato su idee quali quella della diplomazia e della coesistenza pacifica, entrambe invocate come valide se e solo se  ‘con caratteristiche cinesi’. Lo stile cinese della diplomazia e coesistenza include la realizzazione di un network di relazioni economiche e politico-strategiche in tutte le regioni del Globo ed un estensivo uso di coordinamento politico anche nella gestione dei conflitti, facendo leva su una narrativa duplice, intenzionalmente confusiva, e sostanzialmente contraddittoria. La Cina sostiene infatti il concetto di non-interferenza militare da un lato, facendo al contempo uso massivo delle tecniche di persuasione e di una presunta negoziazione ‘con caratteristiche cinesi’ che nulla ha infatti a che vedere con l’arte negoziale dei Paesi con valori democratici e liberali, ed altro non è che pura coercizione e quindi, di fatto, interferenza nella sovranità di uno Stato, economica e politica, oltre che militare, considerato che è agita da una Nazione dove economia, politica e potere militare sono un unico corpo e centro di interesse, intenzione, ideologia, azione.

Non è quindi ravvisabile alcun innesto democratico nell’attuale regime cinese, ma solo un’accelerazione dei processi economici e di mercato, avendo il regime trovato questo canale come canale privilegiato per poter mantenersi in vita al proprio interno ed esercitare le sue ‘Three warfares’, ovvero la triplice dimensione di conflitto in tempo di pace, e tentando così di aprirsi la strada verso la realizzazione delle proprie ambizioni geopolitiche, che hanno gli stessi connotati efferati del regime repressivo di Piazza Tienanmen, perché efferato è il regime che le governa. E oggi, con caratteristiche ancora più pericolose ed insidiose, perché poco visibili.

Dopo Mao Zedong morto nel 1976, il potere del regime cinese venne affidato al suo successore Deng Xiaping, che diede il via a una timida apertura economica mantenendo comunque fermo l’impianto del regime del Partito. L’epurazione del Segretario generale riformista del Partito, che aveva attratto intorno a sé i consensi dell’elite economica oltre che degli studenti e dei lavoratori, la strage di Piazza Tienanmen che ne seguì, restano il segno indelebile di quanto le aperture  economiche cinesi non intendessero comunque né scalfire né ancor meno smantellare il regime cinese, né quindi favorire la sua evoluzione in ottica democratica.

Il tentativo che venne posto in essere successivamente alla strage di Piazza Tienanmen, fu comunque quello di muoversi verso un evitamento della centralizzazione del potere nelle mani di un unico leader, favorendo quella che venne definita una collective leadership, e per quanto possibile tentando di inserire una competizione politica interna per favorire una successione di leader politici pacifica. I due successori, Jiang Zemin e Hu Jintao, significativamente infatti si dimisero, senza che quindi la loro successione fosse contestuale alla loro morte, diversamente da quanto era sino ad allora accaduto in Cina.

Eppure oggi, dopo decenni di leadership collettiva, Xi Jinping, Segretario generale del Partito Comunista Cinese dal 2012 e Presidente della Repubblica Popolare Cinese dal 2013, riporta la Cina alla leadership personalistica, accentratrice, autocratica e totalitaria.

Alla fine del suo primo quinquennio di potere, Xi ha consolidato un potere personale maggiore dei predecessori Jiang o Hu. In controtendenza con le aperture precedenti, ha dichiarato durante il 19° Congresso del Partito nell’ottobre 2017, di non voler individuare un possibile successore, elemento che era stato uno dei maggiori indicatori di apertura verso istanza democratiche, da parte dei suoi predecessori. Nel marzo 2018 durante il Congresso nazionale del popolo (o NPC) ha inoltre introdotto con 2.958 voti a favore (2 contrari, 3 astenuti, 1 invalido) tra le varie modifiche alla Costituzione, l’abolizione del limite di due mandati per il Presidente ed il vice -presidente, chiaro segno del suo intento di rimanere in carica oltre il 2023.

Se molti si aspettavano di vedere una Cina che gradualmente procedeva su un cammino democratico, istituzionalizzando gradualmente la governance per renderla più responsabile, e più vincolata dalla legge, cosa che stava accadendo sino al 2012, oggi si trova di fronte ad uno scenario completamente involuto, una inversione di rotta agita dall’attuale Presidente Xi, di chiara impronta totalitaria, come emerge dalle fonti ed informazioni disponibili.

E’ lo stesso Xi ad aver delineato il passato ed il futuro della Cina nel  suo discorso al 19° Congresso del Partito, che ha di fatto segnato, attraverso vari emendamenti alla Costituzione, i contorni del suo potere autocratico. Egli stesso ha delineato i 100 anni di storia della Repubblica popolare cinese, dal 1949 al 2049, divisi in tre fasi. La prima fase è stata la rivoluzione socialista e la fase di costruzione della Cina, dal 1949 al 1978, guidata dal ‘Mao Zedong Pensiero’. La seconda fase, dal 1978 fino al 2012, è stata guidato dal pensiero di Deng Xiaoping, che ha avviato  la rapida industrializzazione della Cina, l’apertura al mondo e il passaggio verso una società “relativamente benestante’ (xiaokang).  Xi ha quindi indicato la roadmap per lo sviluppo cinese fino al 2049 e la sottostante filosofia e ideologia, incorporandola in quello che ha definito il “Xi Jinping Pensiero’.

Non solo. Tale pensiero, quindi sia l’aspetto programmatico dello sviluppo economico cinese, sia l’ideologia fondante che egli intende divulgare, è stata sancita dal massimo organo decisionale del Partito comunista, ed inserita nella Costituzione, evento questo che era stato concesso in Cina solo per il pensiero di Mao Zedong, peraltro dopo la sua morte. Porre la visione politica parte integrante della Costituzione cinese non soltanto colloca Xi alla pari con il pensiero di Mao Zedong e dei classici marxisti, incluso Lenin, ma ne sancisce la sua inviolabilità, per legge.

Questo elemento è da considerare unitamente ad un altro fondamentale indicatore che amplia oltre i confini della Cina il tentativo di legittimare, ad ogni costo, la diffusione della ideologia di Xi. E’ stato più volte lo stesso Xi a precisare che la crescita cinese intende proteggere quelli che sono considerati gli interessi prioritari della Cina e che ciò implica una completa rivisitazione dell’ordine globale attuale.  In particolare Xi ha individuato gli interessi prioritari della Cina nella difesa: 1) della sovranità statale, 2) della sicurezza nazionale, 3) della integrità territoriale, 4) della riunificazione nazionale, 5) della stabilità del regime cinese, 6) della salvaguardia di tutto ciò che sia necessario per  assicurare  un sostenibile sviluppo sociale ed economico. Tutti interessi che la Cina, per sua stessa ammissione, intende salvaguardare con ogni mezzo, compreso quello militare.

Va da sé che in questo contesto anche il progetto della Belt and Road Initiative  assume i connotati per essere lo strumento che, dovendo garantire lo sviluppo economico della Cina, rientra in quei progetti tali da contribuire alla  realizzazione cinese di interessi che la stessa ritiene prioritari: non solo l’interesse di uno sviluppo economico sostenibile, ma anche l’interesse alla stabilità del regime e quindi alla sua ideologia, oggi ideologia di XI, sancita per legge come ideologia della Cina. Ne consegue che, una violazione o presunta violazione o interferenza nello sviluppo del progetto BRI, non solo degli Stati che hanno aderito allo stesso, sarebbe percepita secondo la politica estera cinese come una violazione dei suoi interessi prioritari, il che legittimerebbe, secondo il concetto di sicurezza cinese, l’attivazione di tutte le misure idonee, non ultima quella militare, invocabili a propria tutela.

Per rendere operativo il proprio programma e pervasivo il proprio pensiero, tanto da farlo coincidere con il pensiero unico proposto non solo per la Cina, ma che dovrebbe caratterizzare ed influenzare tutte le relazioni anche internazionali della Cina stessa, sino al raggiungimento dell’obiettivo ultimo, ovvero la piena realizzazione economica cinese e la realizzazione di un nuovo ordine globale, Xi è riuscito a posizionarsi in un ruolo di controllo assoluto del Partito, dei suoi organi, del suo braccio armato.

Xi Jinping presiede infatti, con altri tre membri del Comitato Permanente del Politbureau (Politbureau Standing Committee) nel ruolo di vice presidenti,  il Leading Small Group on Comprehensively Deepening Reform, divenuto una sorta di Consiglio di Stato, che di solito si riunisce mensilmente e pubblicando politiche specifiche su una vasta gamma di questioni, tra cui quelle economiche. I capi degli organi di governo sono tenuti a loro volta a riportare regolarmente al Comitato Permanente del Politburau.

Il Comitato del Politbureau è invece composto da sei membri oltre a Xi che lo presiede: Li Keqiang (attuale Primo Ministro), Li Zhanshu, Wang Yang, Wang Huning, Zhao Leji (nuovo capo anticorruzione) e Han Zheng.

(Membri del Politbureau Standing Committee)

Tra questi membri, degno di nota è Wang Huning.

(A sinistra Wang Huning)

È infatti la prima volta che un  accademico qualificato entra a far parte della leadership cinese. Non solo. Wang Huning considerato la chiave dell’ ideologia di Xi Jinping. Il suo viene definito un approccio neo-autoritaritario e neo-conservatore, e sarebbe stato  strumentale nella formulazione del nuovo pensiero ideologico di Xi e della sua piattaforma politica. L’obiettivo esplicitato di questo ‘’nuovo socialismo cinese’ o ‘socialismo con caratteristiche cinesi’, come spesso compare nei documenti ufficiali, è fare propria la corrente del  neo-autoritarismo, la cui dottrina sostiene che la stabilità politica fornisce la struttura per lo sviluppo economico e che ‘considerazioni’ come la democrazia e la libertà individuale devono essere affrontate successivamente, solo se  e quando le condizioni sociali, economiche e culturali siano appropriate. Come avrebbe scritto Wang in un articolo del 1993 intitolato “Requisiti politici per l’economia di mercato socialista’ : ‘La formazione di istituzioni democratiche richiede l’esistenza di specifiche condizioni storiche, sociali e culturali. Fino a quando queste condizioni non saranno mature, il potere politico dovrebbe essere diretto allo sviluppo di queste condizioni.’

All’interno del Partito, Xi  agisce in piena aderenza alla sua ideologia, collocandosi  personalmente a capo di ogni struttura. Presiede otto dei principali piccoli gruppi tra cui la National Security Commission, gestendo così direttamente anche la sicurezza interna e riducendo le possibilità di un colpo di stato. Il controllo di Xi sul braccio armato del partito, l’Esercito popolare di liberazione (PLA) è ancora più completo del suo controllo sul Partito e sul governo, tanto da risultare anche più ampio di quello agito da Mao Zedong nel passato. Se infatti Mao dovette condividere il potere militare con potenti marescialli dell’era rivoluzionaria, Xi ha assunto su di sé anche il nuovo incarico di comandante-capo del PLA Joint Battle Command,  potere che gestisce sostanzialmente in modo assoluto.

Il Documento ‘China’s National Defense in the New Era’ esplicitamente statuisce la totale aderenza del PLA, le forze armate cinesi, a Xi:’ Per rafforzare la difesa e le forze armate nazionali della Cina nella nuova era, è indispensabile attuare in modo completo il pensiero di Xi Jinping sul rafforzamento dell’esercito, realizzare accuratamente il pensiero di Xi Jinping sulla strategia militare, continuare a rafforzare la lealtà politica delle forze armate, rafforzarle attraverso riforma e tecnologia, gestirle secondo la legge e concentrarsi sulle capacità di combattere e vincere.’

Non da ultimo il documento rilancia l’impegno delle forze armate cinesi tra cui le ‘Three Warfares’ e quindi l’impegno dell’esercito nella Political Warfare cinese. Si richiama infatti il documento del 2014 esplicitando: ‘In conformità con la Decisione sulle questioni relative al lavoro politico militare nella nuova era emessa nel dicembre 2014, le forze armate cinesi hanno migliorato il loro lavoro politico e intrapreso un nuovo cammino di sviluppo. Al fine di rafforzare pienamente la leadership del Partito e la costruzione del Partito militare nella nuova era, nell’agosto 2018 si è tenuta una riunione della CMC sulla costruzione del partito. Si stanno compiendo grandi sforzi per coltivare gli ufficiali rivoluzionari e i soldati della nuova era con fede, abilità, coraggio e integrità e costruire truppe con fede, convinzione, disciplina e impegno ferrei’, naturalmente leali al pensiero totalitario di Xi.

Oltre ad avere assunto il controllo ed il comando in capo all’esercito (PLA), composto da membri attivi e riservisti, questi ultimi assegnati in tempo di pace alla gestione della sicurezza interna, Xi guida la Commissione Militare, che ha il comando unificato non solo sull’esercito ma anche sulle forze cinesi di Polizia armata e sulla polizia paramilitare cinese (PAP). La milizia paramilitare cinese è principalmente responsabile di gestire/reprimere i disordini civili, e quindi ha funzioni di sicurezza interna, sebbene non sia un componente dell’Esercito popolare di liberazione (PLA), e sottostà alle direttive ed è tenuta a riferire sia al Comitato centrale del Partito comunista cinese sia alla Commissione militare centrale, organi entrambi presieduti da Xi. Tutte le forze armate e le milizie cinesi sono quindi oggi longa manus di Xi.

Tra le iniziative adottate da Xi per garantire a se stesso l’ascesa totalitaria in Patria, nel 2015 Xi ha dato l’avvio ad una pesantissima repressione contro la corruzione e l’indisciplina verso il Partito, attraverso la Central Discipline Commission del Partito; la repressione che secondo i dati avrebbe colpito, secondo le informazioni raccolte, nel 2015 quasi 300.000 membri del Partito, avrebbe consentito a Xi di eliminare potenziali rivali, cancellare centri di potere in competizione con il Partito, e imporre attraverso la paura la lealtà assoluta dell’ élite politica al PCC e alla sua persona.  Secondo le informazioni disponibili caduti sotto la manovra repressiva di Xi sarebbero stati anche Zhou Yongkang e Bo Xilai, un tempo membri del Comitato permanente del Politbureau Standing Committee, i generali Xu Caihou e Guo Boxiong, e Sun Zhengcai, un membro del Politbureau e potenziale successore di Xi che fu epurato poco prima del Congresso del Partito nell’ottobre 2017.

Proseguendo nella sua ascesa autoritaria, nel 2018 Xi ha istituito e di fatto ha posto sotto il suo controllo la Commissione nazionale di vigilanza  con un controllo pervasivo non solo su tutti i membri del Partito, ma anche su tutti coloro che lavorano per lo Stato,  professori, medici e dirigenti di imprese statali.

Contribuisce a delineare il profilo totalitario di Xi Jinping, preoccupato di costruire e garantire il culto alla propria persona, e quindi la resilienza del suo autoritarismo, la sua enfasi sulla lealtà e sulla costruzione della fiducia verso il Partito e la sua persona, elementi per lui cruciali, così come peraltro più volte indicato nei suoi scritti dall’ideologo membro del Politbureau, Wang Huning, sopra citato.

Vari sarebbero gli strumenti adottati in Cina per raggiungere questo fine; tra questi la pratica di richiedere a tutti i funzionari del Partito, compresi i principali leader provinciali e ai membri del Politbureau,  di impegnarsi nelle c.d. pratiche di critica e autocritica e negli impegni di fedeltà (biaotai) all’apparato centrale del Partito e al suo ruolo.

Erroneamente talvolta considerati poco più che rituali, e quindi sottostimati nella loro cruenta esternazione, queste sono pratiche pervicaci di indottrinamento di stampo  marxista-leninista, già adottate nella Cina del post-Mao, e ad oggi presenti ed attuati in gruppi estremisti anarchici anche di stampo terroristico, di orientamento marxista (ad esempio i curdi del PKK/YPG/YPJ che hanno peraltro visto unirsi alle proprie fila anche foreign fighters cinesi).

Queste pratiche di indottrinamento, a cui se ne aggiungono altre nel nome dell’indottrinamento patriottico che per Xi deve essere rivolto in  varie direzioni: alla madre terra Cina, alla Cina come Nazione, alla Cina come cultura, alla Cina come Partito Comunista, e al ‘socialismo cinese con caratteristiche cinesi’, ovvero al pensiero totalitario di Xi stesso, non ha all’evidenza solo scopo di adulare Xi, ma anche di costruire un sentimento nazionalistico sin dall’infanzia, e far sullo stesso leva, in modo da impedire che altri esponenti politici possano organizzarsi e rendersi avversari delle regole autocratiche imposte da Xi.

Nel nome proprio di un patriottismo organico, tratto distintivo del patriottismo di Xi, nel quale quindi non vi può essere amore per la Nazione senza amore per il Partito e senza amore per il ‘pensiero di Xi’, ai membri del Partito viene ad esempio prescritto di evitare qualsiasi “discussione impropria” (wangyi) che metta in discussione le politiche centrali, e il reclutamento dei nuovi membri ora richiede standard di fedeltà più severi.

Queste pratiche di indottrinamento e patriottismo organico e coatto si pongono coerentemente con la svolta ideologica di Xi di estrema sinistra, orientata al marxismo-leninismo, e che coinvolge e colpisce naturalmente in primis gli ambienti educativi: i professori universitari membri del Partito devono difendere il PCC in classe in caso di critica, i  libri di testo occidentali sono vietati e sostituiti con nuove versioni cinesi che enfatizzano l’orientamento ideologico marxista, ed è vietata la discussione nelle scuole su sette argomenti associati a valori occidentali e considerati ‘sovversivi’: universalismo, libertà di stampa, indipendenza giudiziaria, società civile, diritti dei cittadini, errori storici del Partito e clientelismo all’interno dell’élite finanziaria e circoli politici.Le scuole di marxismo stanno godendo una vera e propria rinascita  nei campus di tutto il paese. Il concetto di Meritocrazia è soppiantato dal concetto di Virtuocrazia, ovvero la promozione delle persone sulla base della loro lealtà politica. E’ quindi il ripiegamento totale e completamente allineato al Pensiero di Xi che consente di  ottenere promozioni sociali e professionali, non certo le capacità personali.

In un contesto di tale natura, la censura per bloccare sul nascere il dissenso è parte integrante del regime cinese di Xi. Se un tempo in Cina la censura era frammentata in diverse agenzie a questo incaricate, oggi questa è appannaggio di una nuova potente Cyber ​​Administration of China (CAC) anche conosciuta come Office of the Central Cyberspace Affairs Commission Office of the Central Leading Group for Cyberspace Affairs ,  l’agenzia cinese centrale che si occupa di regolare i flussi internet, oltre che della censura.

Presieduta da Xi, la Cyber ​​Administration of China (CAC) mira a vincere ciò che Xi chiama la “lotta per l’opinione pubblica”, e che si traduce in quella prima dimensione delle ‘Tre Guerre’ accennate in precedenza, ovvero la Public Opinion warfare nel suo versante interno. L’agenzia sarebbe suddivisa in alcuni Dipartimenti: Internet Security Emergency Command Center, Agency Service Center, Illegal and Unhealthy Information Reporting Center. Quest’ultimo Dipartimento in particolare sarebbe una sorta di sistema di controllo pubblico, attraverso cui la popolazione cinese è invitata a denunciare coloro che a mezzo internet esplicitano pensieri considerati non corretti e non virtuosi: invito quindi ad agire modalità delatorie come strumento di censura, il che di tutta evidenza stride con le eteree affermazioni di Xi circa la sua dedizione alla coesistenza pacifica.  La censura è oggi in Cina particolarmente efficiente e bypassare quello che viene definito il Gran Firewall cinese per riuscire ad accedere alle notizie globali è per i cinesi sempre più complesso.

Voci critiche al regime sono state censurate dalla Cyber ​​Administration of China (CAC) anche attraverso la piattaforma Sina Weibo, la versione cinese di Twitter, e la penetrazione in WeChat, piattaforma la cui censura cinese è tornata alla ribalta in occasione della odierna pandemia. Proprio su  WeChat le autorità cinesi avrebbero intercettato e punito per ‘aver diffuso rumors e false informazioni’ il confronto tra colleghi da parte del primo medico cinese che si confrontò su alcuni casi di pazienti che sembravano essere affetti da un SARS-like coronavirus.

Uno degli esempi più evidenti, e più taciuti ed occultati, delle operazioni della Cyber ​​Administration of China (CAC) è il controllo esercitato sin dal 2016 nella regione di Xinjiang. La regione era ed è abitata dagli Uiguri, la maggior parte dei quali pratica l’Islam sunnita, ed era stata terreno di violenze etniche. Su ordine del Partito e di Xi la CAC tentò di regolamentare le violenze  criminalizzando tutti gli abitanti di Xinjiang che postavano on line riflessioni e/o immagini di conflitti etnici, di tensioni. Fu inoltre ordinato al governorato di Xinjiang di rafforzare la ‘cyber-information security’, il monitoraggio e la gestione degli internet service provideres e degli utenti di internet. [2] Negli ultimi anni una massiva sorveglianza è stata applicata in tutta la regione e in tutte le province dello Xinjang: le autorità cinesi raccolgono qui campioni di DNA, impronte digitali, scansioni dell’iride e gruppi sanguigni di tutti i residenti nella regione di età compresa tra 12 e 65 anni, secondo quanto riportato da Human Rights Watch. Questa operazione cinese di controllo e sorveglianza espande a dismisura la raccolta di dati biometrici da parte delle autorità, che già in passato aveva richiesto a tutti i richiedenti il passaporto nello Xinjiang di fornire dati biometrici. Per tutte le ‘personale di interesse’, ovvero considerate minacciose per la stabilità del regime  e per i

loro familiari, i dati biometrici devono ora essere presi indipendentemente dall’età. La sorveglianza è agita anche attraverso le maglie tecnologiche e la regione è diventata uno dei centri principali per l’uso di tecnologia di sorveglianza per il controllo sociale, in particolare attraverso una  Integrated Joint Operations Platform (IJOP). La raccolta di dati personali varrebbe ad individuare il livello di sospetto di un soggetto dato, che successivamente verrebbe recluso  in campi di indottrinamento e rieducazione.

Oggi le fonti parlano di un milione di Uiguri e altre minoranze musulmane che sarebbe detenuti in quello che voci autorevoli definiscono il più ampio sistema di campi di concentramento del 21° secolo, in un’operazione cinese che coordina lavoro forzato con campi di ‘rieducazione’, ovvero ‘indottrinamento’, gestiti e creati da Xi. L’operazione sarebbe tanto coordinata e talmente alto sarebbe il timore della diffusione della notizia all’esterno della regione dello Xinjiang, che le autorità locali avrebbero ricevuto un documento ufficiale per spiegare la sparizioni di genitori e famiglie detenuti nei campi di rieducazione. Questo al fine di evitare che gli adolescenti della regione, spesso frequentanti le scuole fuori dalla regione stessa, cui tornano in occasione delle vacanze scolastiche, non diffondano notizie e dubbi sui campi stessi.

Come mostrano le evidenze delle fonti, Xi ha anche rafforzato il controllo sociale centralizzato del Partito attraverso l’uso della legge e del sistema giudiziario funzionale al suo potere (Legal Warfare). La Costituzione cinese non prevede una separazione di poteri (legislativo, giudiziario, esecutivo), considerata una minaccia sovversiva dell’Occidente contro il Partito, bensì una suddivisione di funzioni, tutte facenti capo al Partito. Le agenzie che si occupano della funzione giudiziaria cinese sono coordinate dal Comitato politico-legale del Partito comunista, che opera a tutti i livelli amministrativi. Il Comitato politico-legale ha supervisione politica primaria sul lavoro delle agenzie giudiziarie. Dall’inizio del 2014, tuttavia, il lavoro del Comitato politico-legale è stato subordinato al Central Leading Group for Comprehensively Deepening, sotto la guida di Xi.

Se quindi il Partito ha sempre gestito i tribunali, ora sono le autorità centrali del Partito, e non le figure locali del Partito, a nominare giudici. Il che comporta, inevitabilmente, che saranno nominati come giudici coloro che si saranno mostrati più leali al Partito e a Xi.

Conclusioni.

Gli indicatori tratteggiati portano ad alcune conclusioni.

1. Il regime cinese, fondato su un partito unico e sul regime autocratico di Xi, esercita, anche attraverso il suo braccio armato, il People Liberation Army (PLA) strategie, tecniche, metodologie di political warfare, in 3 direzioni integrate tra loro: public opinion warfare, psychological warfare, legal warfare. Sebbene i documenti non specifichino che operazioni inerenti le Three Warfares (tratteggiate nel precedente contributo) vengano agite anche in tempo di pace, considerato che l’esercito militare cinese è funzionale agli interessi del Partito e del Presidente Xi, autoproclamatosi Leader, e che tali interessi sono anche economici e geo-politici, è verosimile che operazioni che interessino tutte le tre dimensioni di warfare siano agite dal PLA quotidianamente, quindi anche in tempo di pace.

2. L’ascesa autocratica di Xi, suggellata dall’abolizione richiesta da Xi, votata sostanzialmente all’unanimità dal Partito, ed ora inserita nella Costituzione cinese, del limite dei due mandati presidenziali, conferisce a Xi il diritto di rimanere in carica a tempo indeterminato. E’ molto poco probabile che Xi si dimetta dal suo ruolo al termine del suo secondo mandato nel 2023.

3. La costruzione di Xi del culto della propria persona, l’inserimento della sua visione ideologica e politica come parte integrante della Costituzione cinese, lo ‘Xi Jinping Pensiero’ e diffusa nei documenti ufficiali con l’estensione, accanto a concetti quali diplomazia, negoziazione, ecc.., dell’espressione ‘con caratteristiche cinesi’, estensione vaga e apparentemente inoffensiva soprattutto in ambito internazionale,è invece il marchio ideologico e tratto che legittima l’autoritarismo di Xi, a cui è stato riconosciuto il contributo personale all’ideologia del Partito. Questo non soltanto colloca Xi alla pari con il pensiero di Mao Zedong e dei classici marxisti, incluso Lenin, ma sancisce l’inviolabilità di questa visione, che risulta così inviolabile per legge. Ne consegue che ogni visione politica divergente risulta essere ora, secondo la Costituzione cinese, contraria alla legge, quindi illecita, e quindi una minaccia, interna o estera, alla sicurezza del Paese, in quanto tale da fronteggiare, con ogni mezzo, compreso quello militare nelle sue varie forme.

4. Oltre alla stabilità del regime, e quindi della sua attuale visione ideologica fondata, secondo norma costituzionale ora, sul pensiero di Xi, la Cina ha dichiarato la sua intenzione di rivisitare l’ordine globale, al contempo garantendo la difesa, con qualsiasi mezzo, di suoi interessi prioritari: a) la sovranità statale, b) la sicurezza nazionale, c) l’ integrità territoriale, d) l’ riunificazione nazionale, e) la stabilità del regime cinese, f) la salvaguardia di tutto ciò che sia necessario per assicurare  un sostenibile sviluppo sociale ed economico.

La lettura combinata di questi indicatori porta a dedurre che molto probabilmente la Cina consideri la tutela dei propri interessi come compatibile, unicamente, con la costituzione di un nuovo ordine globale di cui la stessa vorrebbe farsi portatrice, basato non solo su una propria agenda politica ed economica di sviluppo, ma anche su una imprescindibile legittimazione e diffusione ideologica che permei non solo la dimensione interna della Cina ma anche quella internazionale, nel tentativo di sovvertire e sopprimere i valori liberali e democratici, considerati ‘nemici’ della stabilità del regime.

5. Seguendo questa chiave di lettura, il ‘nemico’ nelle operazioni di ‘Three Warfares’ non è quindi il ‘nemico’ generalmente inteso controparte in un conflitto armato o comunque in uno scontro offensivo frontale di tipo inter-Statuale, ma diviene chiunque, singolo individuo o entità gruppale o statuale, considerato ‘sovversivo’ perché non aderente alla visione del Partito e di XI. Il fatto che la visione politica sia strettamente connessa con la visione dello sviluppo economico, finisce per designare come potenziale ‘nemico’, e quindi potenziale target delle operazioni del PLA, chiunque non aderisca e/o si frapponga ai progetti economici e geo-politici della Cina, a prescindere che ci si trovi in tempo di pace o di conflitto conclamato.

6. Xi è un autocrate con un pieno dominio sul Partito e sul Paese. Ciò che lo differenzia rispetto ad altri autocrati, è il fatto che si pone non solo come erede della tradizione marxista-leninista, portatore di una ideologia che su questa eredità si innesta, rinvigorendola. La legittimità personale di Xi si basa su quella del Partito, e a sua volta quella del Partito, incorporando la visione di Xi nella Costituzione, legittima se stesso sulla figura di Xi, L’effetto è uno scenario di  interdipendenza reciproca, che potrebbe avere come scopo quello di assicurare a doppio filo l’autocrazia di Xi. In questo intreccio, infatti, Xi ha fatto in modo che  una eventuale sua caduta comporti come conseguenza la possibile delegittimazione del Partito, rischio questo che il Partito potrebbe voler verosimilmente evitare, anche al prezzo di accettare quelle che potrebbero essere ulteriori derive dell’autocrazia attuale di Xi.

7. Il neo-autoritarismo o ‘socialismo dalle caratteristiche cinesi’ di Xi, coadiuvato/proposto da Wang, considerato il suo ideologo, si fonda sulla necessità di una stabilità politica totale, agita con ogni mezzo repressivo ed anche attraverso un uso indiscriminato di mezzi di sorveglianza e di controllo sociale, che consenta uno sviluppo economico funzionale a legittimare l’autocrazia di Xi.

8. La visione ideologica della Cina è esercitata sia nell’ambito delle istituzioni internazionali che a livello di alta rappresentanza politica dei Paesi target, agendo su differenti target audience: a) nell’ambito delle istituzioni internazionali contribuendo con ingenti fondi economici alle diverse agenzie, per ritagliarsi spazi all’interno delle istituzioni internazionali (le Nazioni Unite e le sue varie agenzie) e poter qui esercitare il Legal Warfare, costruendo quindi una cornice giuridico-legale internazionale che legittimi la propria visione ideologica e le azioni che da essa derivano; b) nell’ambito dell’alta rappresentanza politica dei Paesi target cercando di  intenzionalmente influenzare e conquistare la compiacenza dei rappresentanti politici dei Paesi individuati, introducendo modalità diplomatiche e di cooperazione e negoziazione ‘con caratteristiche cinesi’, ovvero repressive e coercitive, in tal modo contaminando i Paesi target con la propria ideologia al fine di realizzare il proprio obiettivo egemone di  ‘nuovo ordine globale dalle caratteristiche cinesi’.

9. Non è ravvisabile alcun innesto democratico nell’attuale regime cinese, quanto piuttosto un’accelerazione dei processi economici e di mercato, avendo il regime trovato questo canale come canale privilegiato per poter mantenersi in vita al proprio interno ed esercitare le sue ‘Three warfares’, ovvero la triplice dimensione di conflitto in tempo di pace, tentando così di aprirsi la strada verso la realizzazione delle proprie ambizioni geopolitiche,

10. Le pratiche di indottrinamento e patriottismo organico e coatto si pongono coerentemente con la svolta ideologica di Xi di estrema sinistra, orientata al marxismo-leninismo, e definita ‘socialismo con caratteristiche cinesi’: verosimilmente l’utilizzo di questa locuzione è tale da consentire il passaggio inosservato dell’ideologia anche all’esterno della Cina, apparendo tale espressione a prima vista poco più che una suggestione ed un’enfasi culturale anziché la denominazione di una vera e propria ideologia, quella di Xi, oggi inserita nella Costituzione cinese.

11. Gli indicatori evidenziano sistematicamente la contraddizione tra la realtà della politica cinese e la narrativa di Presidente Xi devoto alla ‘cooperazione e alla coesistenza pacifica con caratteristiche cinesi’. E’ da ritenere che probabilmente Xi ritenga per ‘coesistenza pacifica con caratteristiche cinesi’ un sistema globale di coesistenza, pacifica a condizione che la controparte sia compiacente e aderisca in toto al suo pensiero e alla sua visione totalitaria.

12. La vicenda degli Uiguri e la loro repressione attraverso campi di indottrinamento e lavoro forzato sono indicatori che rivelano il volto totalitario del ‘socialismo con caratteristiche cinesi’ di Xi, e di quanto la sua autocrazia si spinga oltre le norme internazionalmente condivise del vivere comune, anche attraverso un uso arbitrario del controllo cyber sulla vita delle persone e sulla libera espressione del pensiero divergente. Il timore della diffusione della conoscenza di tale vicenda è ulteriore indicatore che, se confermato, ne corrobora la veridicità.

13. La repressione agita da Xi nella destrutturazione del network di patronage interno alla Cina e di potenziali rivali è probabile che abbia generato all’interno della Cina un nutrito gruppo di nemici e di rivali. E’ possibile che proprio questo sia il motivo per cui le decisioni di Xi verso progetti strutturali colossali all’esterno della Cina siano fondamentali per il mantenimento e rafforzamento della sua personale ascesa. Garantendo infatti lo sviluppo economico della Cina, Xi può così far leva sul sentimento nazionalistico popolare, adeguatamente indottrinato, allo scopo di contrastare la più grande minaccia che potrebbe provenirgli proprio dall’interno dell’élite cinese. E’ inoltre possibile che la affannosa ricerca di Xi di costruire  network di consensi e appoggi internazionali sia volta a depotenziare le critiche interne di assolutismo e ascesa dittatoriale.

Il recente evento che ha portato all’odierna pandemia mostra con palese evidenza quanto i regimi autocratici, quello Cinese nella fattispecie, non debbano né possano essere considerati semplicemente ‘altro da noi’, distanti e di fatto inoffensivi. La scure della censura del regime cinese sulle informazioni del medico cinese che per primo individuò tra i suoi pazienti il virus SARS-like coronavirus, oggi SARS-CoV-2, sono la prova del danno che l’autocrazia genera per la propria popolazione, e del danno potenzialmente globale generato da ogni Paese che si fondi su regimi autocratici.

I richiami cui si assiste in questi giorni, da parte di organismi internazionali deputati alla tutela della salute (una fra tutti l’Organizzazione Mondiale della Sanità – WHO) alla non politicizzazione del  SARS-CoV-2 mancano nel non tenere in considerazione che non è desiderio di conflitto quello che spinge a fare luce sugli eventi, ma piuttosto necessità di comprendere quali siano stati gli elementi differenti e convergenti che ne hanno determinato comparsa e magnitudine di diffusione. Sono analisi necessarie e doverose, anche in ottica preventiva, per evitare che il presente si possa ripetere, e che altre vite si perdano, a causa di altre pandemie e/o a causa di una sommaria sottovalutazione di ideologie autocratiche che possono manifestarsi in molti e diversificati modi, come la storia antica e recente ha più volte dimostrato.

E’ innegabile che i giorni persi a causa della  censura del regime totalitario cinese di Xi, sarebbero stati giorni che tutto il Pianeta avrebbe guadagnato, evitando o quanto meno, potendo contenere il numero di vite perse a causa di quella che è divenuta invece una pandemia. Gli indicatori sono tutti convergenti nel far emergere, con nitida chiarezza come ogni autocrazia, e nella fattispecie quella cinese, si ponga in antitesi, per sua intrinseca natura, non solo con l’adozione di norme interne e internazionali a tutela degli esseri umani e della loro salute ed incolumità fisica e psicologica, ma anche con l’adozione di adeguate misure di prevenzione e fronteggiamento di minacce che mettono a rischio l’incolumità fisica e psichica di ogni essere umano del Globo.

Sottovalutare o mettere a tacere l’analisi della cornice politico-ideologica della Cina di Xi, oggetto di questo contributo, sarebbe  non solo un errore teorico ma una grave responsabilità umana e storica: il silenzio e l’omissione finirebbero, inavvertitamente e/o deliberatamente, per rendere i decisori istituzionali collusivi e quindi compartecipi e complici dei danni che i regimi autocratici sempre comportano per intere popolazioni e sistemi Paese.

Con particolare riguardo alla Cina autocratica di Xi, è imprescindibile prendere in debita considerazione la visione ideologica che oggi la sorregge, e con la quale la Cina mira a realizzare un nuovo ordine globale, una visione certo suggestiva sia per Paesi fondati su regimi autocratici, portatori di una propria specifica ideologia, ma che si reggono comunque su un modello politico analogo a quello cinese, sia per Paesi in via di sviluppo, che mostrano una certa insofferenza e/o insoddisfazione verso l’Occidente e verso gli Stati Uniti, ed infine anche per Paesi sviluppati, di stampo democratico, ma che tendono ad auto-percepirsi non sufficientemente valorizzati nel contesto internazionale, e tentano quindi di posizionarsi come partner commerciali della Cina nel tentativo, illusorio, di ritagliarsi così un qualche spazio di rilievo nelle decisioni globali.  Le evidenze mostrano come i Paesi target che si sono nel corso degli ultimi anni mostrati maggiormente disponibili a partnership con la Cina sostanzialmente possano essere suddivisi in queste tre tipologie, grazie alle quali l’autocrazia predatoria cinese è riuscita in alcuni dei propri obiettivi nel corso degli ultimi anni, di fatto ‘agganciando’ questi Paesi.

Le scelte italiane pro-Cina purtroppo sembrano aver posizionato l’Italia in una di queste tre categorie. Ma il processo non è in sé irreversibile. L’esperienza drammatica che tutti nel Globo stiamo oggi vivendo, deve essere colta come opportunità per aprire nuovi spazi di riflessioni, di valutazioni ed indicarci l’inizio di nuove rotte da seguire. E’ richiesto ai decisori istituzionali, politici, economici, finanziari, un cambio di passo, che certo dipende dalla loro capacità e volontà decisionale di orientare, o ri-orientare in modo sano e costruttivo per il proprio Paese, direzioni di fatto errate che hanno messo a rischio gli interessi strategici della propria Nazione.

Come? Si tratta in primo luogo di conoscere, nel modo più approfondito, più onesto  intellettualmente e più responsabile possibile, le sfaccettature e sfumature che le visioni ideologiche portano con sé, per riconoscere e sottrarsi alle manovre predatorie che sempre le ideologie mettono in campo. Si tratta di portarsi verso un cambio di paradigma che non individui più il partner economico ritenuto più vantaggioso, a seconda del momento storico e dei flussi finanziari, a prescindere dalla sua visione ideologica, spesso accuratamente evitando di approfondirla proprio perché se ne intuisce il disvalore.

La Cina non solo è, ma vede se stessa, come un significativo rivale ideologico del sistema odierno e delle sue democrazie liberali, proponendo un proprio sistema alternativo, totalitario e autocratico, agendo con modalità tipicamente manipolatorie. Questo è un dato di realtà e verrà opportunamente esplicitato in prossimi contributi già in fase di elaborazione. Quale rotta, quindi, per non rimanere impigliati dentro le maglie di questa rete? Solo qualche accenno.Come in tutte le interazioni caratterizzate da pattern manipolatori, la reale sfida non si combatte mantenendosi in rapporto, benché conflittuale, con il soggetto predatore.

La vera sfida e la vera vittoria in una interazione in cui sempre la Cina, intenzionalmente perché questa è la sua visione ideologica, si pone in modo coercitivo, avendo come obiettivo e radice la realizzazione di una netta asimmetria di posizioni e di potere, vede la luce in altri terreni: nel terreno della conoscenza dell’autocrazia cinese e dell’ideologia che la sorregge, nel terreno della scelta della tutela dei valori fondanti la propria democrazia, nel terreno della scelta politica che rifugge da alleanze cieche spesso motivate da finalità economiche ma guidate da ambizioni personalistiche e/o partitiche, o dalla frustrazione di non sentirsi riconosciuti in ambito internazionale, nel terreno della consapevolezza che talvolta è proprio nel contraddittorio dialogico indebito, spesso ricercato in modo esasperato in nome di una presunta volontà negoziale, che si mantiene in vita l’autocrazia ideologica che si dovrebbe invece depotenziare

Si tratta quindi di agire in ottica di de-potenziamento delle autocrazie e delle loro ideologie, anche facendosi baluardo dell’attuale sistema di ordine globale che, sebbene non certo immune da errori e distorsioni, e sebbene veda settori che richiedono massicci interventi per favorire una loro implementazione e un loro miglioramento, è certamente basato su valori che fungono sia da fondamenta che da meccanismi di auto-salvaguardia, e che sono conquiste di civiltà e di democrazia, tra cui il valore inderogabile dello stato di diritto, della libertà individuale, del pluralismo, dei diritti di tutti a partecipare alla vita pubblica.

Tutti valori che le autocrazie, anche quella cinese, considerano ‘sovversivi’, e che invece sono la nostra identità, è quello che ci consente di essere pienamente noi stessi, di esprimerci liberamente, di vivere, di evolvere, di crescere, di commettere errori senza essere giustiziati per questo, di avere un pensiero divergente senza essere silenziati.  Questo è tutto ciò da cui non si può prescindere, mai, e soprattutto mai quando si ricoprono ruoli istituzionali e quando questi ruoli istituzionali portano a confrontarsi con ideologie che tutto questo vogliono sopprimere.

La vera sfida e la vera vittoria che consente il de-potenziamento di ogni ideologia autocratica, e quella di Xi non fa eccezione, è quindi anche e soprattutto la scelta di non  abbandonare, mai, i propri valori fondamentali, e di farli vivere nelle proprie scelte, azioni, decisioni, alleanze, valorizzando e non accusando le voci critiche interne al proprio Paese in nome di anacronistiche visioni e narrative antistoriche, attraendo a sé e collaborando con tutti i sistemi Paesi che risuonano nella loro essenza con i valori democratici e liberali, con la libertà di pensiero, puntando al miglioramento delle criticità attuali, creando insieme economie più autentiche, inclusive e dinamiche, rivitalizzando la politica e il pluralismo, e ristabilendo il talvolta fragile equilibrio tra nazionale e globale, democratico e tecnocratico che è essenziale per la salute delle democrazie più sofisticate e più evolute.

L’autocrazia non ha posto nel nuovo mondo di pandemia, dove tutti indistintamente ci siamo scoperti a navigare nelle stesse acque e dove tutti abbiamo riscoperto insieme all’umana vulnerabilità che esiste a prescindere da ruolo, status, posizione, professione, l’immenso ed ineguagliabile valore della libertà, dell’ esercizio della responsabilità personale e collettiva dall’altro, e del potere nel senso più puro del termine che deriva dal riconoscimento della nostra identità e ricchezza culturale e valoriale. Questi sono i terreni luminosi che coltivati possono contribuire a depotenziare ogni autocrazia, che sempre si basa sulla mortificazione degli esseri umani su cui vorrebbe esercitare il potere.

L’autocrazia non ha posto nel mondo post-pandemia. Dipende dalle scelte di ognuno di noi oggi che questo accada.

Autore: Michela Ravarini      ©Copyright reserved             Italy, 12.04.2020

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