BIOSAFATY: la Cina e le sue violazioni. Come uscirne.

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La via delle violazioni del regime cinese è infinita.

Tanto pare essere infinita la capacità di sottovalutare i rischi, gli indicatori, le minacce ai nostri sistemi, provenienti dal regime cinese.

Quella del regime cinese, e si badi bene del regime, non della popolazione cinese tutta che è allo stesso soggiogata, è una violazione che parte dalla violazione dei diritti umani, alla soppressione anche fisica del dissenso, alla totale sorveglianza sulle persone, alla altrettanto totale privazione della loro privacy, alla violazione degli standard di sicurezza nell’ambito cyber, all’utilizzo di qualsivoglia strumento, senza esclusione di colpi, compresi i supposti aiuti nell’ambito medico, finalizzati a raggiungere gli interessi strategici del regime.

Fino ad arrivare alla violazione di norme nel terreno delicatissimo della biosafety, che comprende tutti gli standard di sicurezza che, se applicati, dovrebbero prevenire il rilascio su larga scala di elementi biologici studiati in laboratorio, in grado di ledere l’ambiente naturale in cui viviamo e la nostra salute.

E’ noto che la città cinese di Wuhan, epicentro dell’attuale pandemia, sia anche la città in cui ha sede il National Bio-safety Laboratory, la cui costruzione  è iniziata nel 2004 e terminata nel 2014. E’ interessante notare, nella ricerca delle fonti, come moltissime delle riviste scientifiche evidenziavano sin dal 2013 le pericolosità delle ricerche sui patogeni sviluppate dalla Cina, pericolosità dovute ad esperimenti in laboratorio con patogeni pericolosi, tra cui il coronavirus della SARS, e pericolosità aggravata dalla mancanza di trasparenza e di comunicazione sia verso la comunità scientifica all’esterno dei confini cinesi, sia verso la comunità scientifica cinese stessa, in cui assente è la libertà di espressione e di pensiero, e di condivisione delle informazioni.

Tuttavia, le informazioni esistono. E anche le fonti che le avvalorano.

E’ rimbalzata nella serata di ieri 24 marzo 2020, su parte della stampa italiana, una notizia riportata dal Secolo d’Italia, che ha segnalato un servizio televisivo del 2015 del Tgr Leonardo, nel quale si evidenziava la ricerca cinese su un c.d. virus ibrido, creato in laboratorio, in grado di colpire direttamente i polmoni umani attraverso la molecola SHC014.

Le fonti, ristrette nel dibattito delle comunità scientifiche, ed edite da differenti riviste scientifiche, a comprova della loro attendibilità, rivelano come in tempi non sospetti, a far data quindi dal 2013 in poi, la comunità scientifica internazionale, nello specifico la European Society of Virology, consapevole che lavorare sulla mutazione in laboratorio di organismi patogeni comportasse rischi eccessivi, ed in particolare a proposito del virus influenzale, richiese alla Commissione Europea un briefing scientifico urgente allo scopo di evidenziare il rischio delle ricerche c.d. gain-of-function, ovvero ricerche e correlati esperimenti di laboratorio con manipolazioni genetiche condotte per incrementare la patogenicità, trasmissibilità o alterare la percentuale patogenetica di microbi potenzialmente pandemici, tra cui quelli correlati all’influenza.

In particolare, gli esperimenti classificati come ricerche gain-of-function sul virus dell’influenza su cui venne lanciato un fortissimo allarme sin dal 2013, avevano l’obiettivo, quantomeno quello ufficialmente dichiarato, di valutare:

–   gli aspetti immunologici di un virus, con lo scopo di sviluppare vaccini più efficaci e determinare eventuali cambiamenti genetici  che determinano la virulenza,  l’intervallo dell’ospite e alterano la trasmissibilità del virus;

–   gli aspetti correlati all’adattamento del virus, per valutare il rischio di potenziale pandemico dei ceppi e valutare il potenziale dei virus di adattarsi meglio ai mammiferi, determinando anche la capacità di questi virus di combinarsi con altri ceppi influenzali circolanti;

–  gli aspetti relativi alla resistenza del virus ai farmaci, per valutare il potenziale emergere della resistenza ai farmaci nei virus circolanti, valutare la stabilità genetica delle mutazioni che conferiscono resistenza ai farmaci e valutare l’efficacia della terapia associata con la terapia antivirale. Inoltre, per determinare se i virus potrebbero diventare resistenti ai farmaci antivirali e identificare potenziali;

–   gli aspetti relativi alla trasmissibilità del virus, per valutare il potenziale pandemico dei ceppi circolanti ed eseguire studi di trasmissione per identificare mutazioni e combinazioni geniche che conferiscono una maggiore trasmissibilità nei modelli di mammiferi (come furetti e cavie);

–  gli aspetti patogenetici del virus, per aiutare nella valutazione del rischio e identificare i meccanismi che consentirebbero ai virus circolanti di diventare più patogeni.

Nonostante queste dichiarate finalità negli esperimenti gain-of-function, la  lettera evidenziava sin dal 18/12/2013 da un lato l’impatto di potenziali catastrofiche pandemie in caso di  eventuale rilascio, intenzionale o accidentale, di virus patogeni modificati in laboratorio, e dall’altro l’impossibilità di azzerare il rischio stesso. Lanciava inoltre l’allarme sulle ricerche che risultavano essere in fase di avvio, volte a condurre esperimenti gain-of-function con il coronavirus SARS.

Va precisato che gli esperimenti gain-of-function avevano acceso un vigoroso dibattito nei mesi precedenti anche negli Stati Uniti che, valutati i rischi troppo alti di esperimenti di tal natura, decise nel 2014 di fermare tutti i fondi federali su questo tipo di esperimenti e ricerche, con una particolare preoccupazione proprio verso le manipolazioni sul virus dell’influenza SARS  e la MERS (Middle East respiratory syndrome). La presa di posizione americana sposò fu infatti quella di considerare che l’unico impatto reale di questi lavori era quello di creare in laboratorio un nuovo virus, non naturale, con potenziali incontrollabili effetti catastrofici in caso di rilascio accidentale.

Nonostante l’altissimo rischio in termini di biosecurity e biosafety evidenziato da questa tipologia di esperimenti, le ricerche gain-of-function continuarono invece imperterrite ad essere condotte dalla Cina non solo sul virus influenzale, ma sul coronovarius SARS e MERS, e su un nuovo virus nel frattempo scoperto, diverso dal virus SARS sebbene allo stesso correlato, che venne identificato come ‘SARS-like coronavirus’, acronimo SL-CoV.

Ora, è evidente come sia opportuno investigare se vi sia correlazione, quando non sovrapposizione tra il COVID-19 e il già noto SARS-like coronavirus (SL-CoV); è infatti da notare che la dicitura rilevata dalle fonti sul primo medico cinese che nel Dicembre 2019 si confrontò con i propri colleghi evidenziando che stava tentando di trattare pazienti con un virus simile alla SARS, riportano che identificò in questi pazienti la presenza del virus ‘SARS like coronavirus’. C’è quindi da chiedersi se ciò che è stato individuato come COVID -19 non debba invece essere definito con quello che potrebbe essere il suo originario nome, ovvero ‘SL-CoV (SARS like coronavirus) e successive modificazioni in laboratorio’.

Si tratterebbe in questo caso non tanto di un virus comparso dal nulla sulla Terra, quanto di un virus già conosciuto e originariamente naturale, poi modificato in laboratorio, e accidentalmente o non accidentalmente rilasciato, e la cui origine potrebbe quindi essere fatta risalire a ben prima del novembre 2019, periodo nel quale gli ultimi rapporti fanno risalire la comparsa in Cina del coronavirus che oggi ha determinato la pandemia.  Gli scenari sono sempre più aperti. E far luce su questi è doveroso, senza allarmismi e senza al contrario rifugiarsi in facili e semplicistiche affermazioni, ciecamente finalizzate ad archiviare un fatto come ‘probabilmente naturale’ al solo scopo di non disturbare gli interessi strategici di chi ha per anni, e con standard di sicurezza inadeguati, manipolato virus, sino ad arrivare all’odierna pandemia, e allo scopo ulteriore di mantenere posizioni di pericolosa vicinanza geopolitica ed economica con il regime cinese. Posizione questa che oggi l’establishment italiano sta pericolosamente portando avanti, con assoluta noncuranza anche verso chi sta soffrendo gli effetti di queste leggerezze nella valutazione delle azioni strategiche di un Paese.

Se venisse confermata la perdita, accidentale o intenzionale, del virus che oggi ha determinato la pandemia, ciò naturalmente comporterebbe per il governo cinese un aggravamento nella ridefinizione delle sue responsabilità.

Le gravissime responsabilità cinesi sono già per la verità ben presenti, benché in Italia accuratamente sottaciute sia dai principali media mainstream sia dall’attuale Governo, con cui peraltro la Cina ha sottoscritto nel 2019 un Memorandun of Understanding  determinando all’epoca allarme a Washington, e un importante gelo diplomatico tra l’Italia e il resto dell’Europa, elemento questo che, benché non chiaramente esplicitato, potrebbe essere una delle radici della refrattarietà dell’Europa alle attuali necessità emergenziali italiane.

E’ infatti già inequivocabile che la Cina abbia fornito informazioni tanto pericolosamente ritardate quanto inaccurate relative all’avvio del contagio, e non sia stata in grado né di regolare e regolamentare in maniera adeguata alla sicurezza collettiva gli wet market, da cui dichiarerebbe essere partito il contagio, e le cui condizioni igienico sanitarie sono al di sotto della soglia della tolleranza, nè di garantire i servizi di base della città di Wuhan per impedire adeguatamente il diffondersi del contagio.

I fatti che giorno dopo giorno vengono alla luce confermano oggi anche una precisa responsabilità del regime cinese nella forzatura, attraverso le ricerche gate-of-function, di elementi naturali attraverso manipolazioni genetiche per supposti scopi scientifici, una forzatura avvenuta, ed è qui la responsabilità che già può dirsi accertata, in un contesto di deficitaria legislazione relativa alla biosafety e biosecurity, e una forzatura che, considerata da tutto il mondo scientifico fuori luogo a causa dei possibili effetti devastanti su tutto il globo e su tutti i suoi abitanti, è stata invece avvalorata e sostenuta dal regime cinese. La responsabilità del governo cinese, già colposa, assume, ora dopo ora, la cornice di una responsabilità dolosa nell’attuale pandemia.

Si configurerebbe infatti per la Cina l’enorme responsabilità globale di una intenzionale omissione  di informazioni circa un virus in realtà dalla stessa non solo ben conosciuto ma su cui, secondo le informazioni, avrebbe svolto accurate ricerche ed esperimenti genetici. Se l’attuale pandemia sia frutto solo, e il termine ‘solo’ francamente stona con l’attuale catastrofe globale, di ritardate informazioni, su cui non c’è mai stato dubbio alcuno e che gli ultimi rapporti farebbero risalire al 17 Novembre 2019,  data di individuazione del primo caso cinese accertato di contagio, o piuttosto si inserisca nello scenario di un rilascio accidentale di un virus naturale poi modificato, incidente occultato dal regime cinese, o ancora piuttosto evidenzi lo scenario di una sua azione offensiva biologica intenzionale, in ogni caso la responsabilità cinese nei confronti di tutto il Globo è oggi di  dimensioni  smisurate.

A supporto della notizia in apertura di questo contributo, secondo cui la Cina, diversamente dagli Stati Uniti, avrebbe sin dal 2015 condotto esperimenti di manipolazione genetica su un coronavirus simile alla SARS individuato nei pipistrelli, numerosi fonti scientifiche evidenziano con dovizia di particolari ed accurate descrizioni, in effetti, la scoperta di un virus, nelle province e regioni cinesi di Hong Kong, Guangxi, Hubei, Shandong, Guizhou, Shaanxi and Yunnan nelle quali vennero catturati pipistrelli risultanti positivi al SARS like–coronavirus, identificato SL-CoV.

Nello stesso contesto si inseriscono i contributi scientifici del 2017, a firma anche, ma non solo, del ricercatore cinese Zhengli Shi (Principal Investigator, Wuhan Institute of Virology), nei quali si specifica di aver isolato coronavirus correlati al virus SARS da una specie del genere Paguma, la Paguma larvata o civetta delle palme mascherata, di aver identificato infezioni in esseri umani che lavorano negli wet market, ovvero i mercati cinesi dove si vende e si macella fauna selvatica senza rispettare gli standard igienico-sanitari e dove le civette delle palme mascherata vengono vendute, suggerendo quindi che questi animali potessero essere fonte per una infezione umana. I contributi scientifici proseguono specificando poi di aver individuato sin dal 2015 diversi coronavirus SARS correlati che proverebbero in modo significativo che i pipistrelli sono serbatoi naturali di SARS-CoV, e che i risultati delle ricerche avrebbero indicato l’alto potenziale di questo virus di infettare le cellule umane, senza la necessità di un ospite intermedio.

Quali siano gli esperimenti e le tipologie di ricerche, svolte dal ricercatore cinese Zhengli Shi (Principal Investigator, Wuhan Institute of Virology), è egli stesso ad affermarlo.

Sono proprio le sue affermazioni risultanti dagli atti dell’ Workshop tenutosi nel Maggio 2017 nella città cinese di Wuhan, il ‘Second China-U.S. Workshop on the Challenges of Emerging Infections, Laboratory Safety and Global Health Security’ che confermano come la Cina, presso lo Wuhan Institute of Virology, Istituto di Virologia presso la città di Wuhan, epicentro della attuale pandemia denominata COVID-19, abbia condotto ed intendesse proseguire esperimenti gain-of-function proprio sul SL-CoV, ovvero proprio la tipologia di ricerche considerata sia dall’Europa che dagli Stati Uniti a rischio per la cosiddetta biosafety, e per le quali era stato lanciato l’allarme sin dal 2013, come sopra evidenziato.

In particolare Zhengli Shi affermò in quella sede che i suoi esperimenti erano focalizzati sul corona virus, e su altre infezioni emergenti, predicendo che il SL-CoV proveniente dal pipistrello avrebbe potuto essere la prossima pandemia. Specificava inoltre che le sue ricerche erano volte a studiare la patogenesi del SL-CoV in topi transgenici e che le evidenze mostravano come questo virus si replicasse molto bene nei tessuti dei topi e nei tessuti umani. Le risultanze delle sue ricerche, così riportano gli atti del Seminario cui lo stesso partecipò, mostravano come il virus riuscisse facilmente ad entrare nelle cellule umane mentre in quelle animali risultava meno patogenetico. Le ricerche dallo stesso condotte, mostravano inoltre, a suo dire, che alcuni tipologie di SL-CoV avevano il potenziale di effettuare il salto di specie e trasmettersi da altri animali all’essere umano.

Non vi sono indicatori che possono far pensare ad una interruzione di tali ricerche ed esperimenti gain-of-function da parte della Cina, e pertanto è altamente probabile che tali esperimenti di manipolazione genetica su un elemento così pericolosamente patogeno siano proseguite oltre il 2017.

A scanso di equivoci, tentativi di dissuadere gli scienziati cinesi dallo svolgere ricerche così potenzialmente pericolose, vennero fatti anche proprio durante il medesimo Workshop. Lo conferma anche il fatto che gli atti dello stesso Workshop evidenziano come fosse stata cura dei ricercatori americani presenti richiamare l’attenzione sulla pericolosità degli  esperimenti relativi alla virulenza dei virus dell’influenza e sulle manipolazione genetiche associate con le ricerche gain-of-function. Venne infatti vivacemente suggerito agli scienziati presenti al Simposio il dovere di considerare con cura quali strategie adottare per minimizzare il rischio correlato, ben prima di iniziare questa tipologia di esperimenti e di considerare tutti i fattori di rischio prima di assumere decisioni nella pianificazione della ricerca. In quella sede gli esponenti statunitensi precisarono come quasi sempre i benefici dalle ricerche scientifiche possono essere raggiunti anche attraverso altri approcci sperimentali. Richiamarono inoltre  la necessità di lavorare per il bene della sicurezza collettiva in un campo tanto delicato richiedendo: 1) una maggior trasparenza nel processo scientifico, 2) la regolazione dell’informazione, 3) la sensibilizzazione della comunità, 4) la professionalità delle organizzazioni, dell’ambito accademico, dell’industria, della leadership nazionale, delle organizzazione internazionali, 4) l’implementazione della capacità di prevenzione dei rischi correlati alla biosafety e alla  biosecurity, 5) la necessità di stabilire un protocollo di risposta in caso di incidente.

Richiami, avvertimenti e warnings che sono stati all’evidenza non raccolti dal governo cinese. Sino ad arrivare all’odierna pandemia. 

Alla luce dei fatti emersi, benché resti da definire, da parte degli esperti, la sovrapposizione tra COVID-19 e ‘SL-CoV manipolato’ con tutte le correlate conseguenze, certo è che la Cina, per sua stessa ammissione, ha condotto da anni, esperimenti gain-of-function altrove invece bloccati o sospesi per tutelare la cosiddetta biosafety.

Non solo. Tali esperimenti sono stati condotti in un contesto di legislazione cinese interna correlata alla biosicurezza assolutamente deficitaria, carente e non rispettosa degli standard internazionali, mettendo così consapevolmente a rischio, e lo si afferma senza eccessi, l’umanità nel suo complesso.

Sono fonti recentissime del 2019 quelle che, svolgendo una disamina della legislazione cinese relativa alla biosafety, evidenziano la assoluta inadeguatezza della stessa, anche nella capacità di valutazione del rischio, considerati alcuni indicatori ben definiti, tra cui la scarsità in Cina di standard relativi alla valutazione del rischio biologico e l’assenza di una agenzia specifica in grado di guidare la realizzazione anche operativa di un sistema di valutazione del rischio biologico, tutti indicatori che rivelavano l’assoluta carenza di standard di sicurezza necessari nella gestione della biosafety.

Si rilevava inoltre in questa disamina del 2019 l’incompletezza di sistemi di allarme e di previsione, elemento grave tenuto conto che un immediato allarme successivo alla realizzazione di un evento che impatti sulla sicurezza biologica dovrebbe essere la primaria forma di comunicazione adottata per tentare un contenimento del danno. Pertanto si concludeva rilevando che gli attuali metodi e meccanismi di gestione del rischio in Cina non potevano garantire la sicurezza nella gestione di tutte le materie e procedure correlate alla biosafety.

 Ed è così che si è arrivati all’attuale pandemia. Ed è così che per salvaguardare il politically correct e non urtare il regime cinese, particolarmente sensibile alle critiche, si è preferito tralasciare indicatori visibili, pubblicamente dichiarati da chi di competenza.

Ora l’umanità intera deve fare i conti con tutto questo. Deve fare i conti con il fatto che c’è chi non sa leggere gli indicatori di rischio, o pur sapendo leggerli preferisce deliberatamente oscurarli perché stridono con i propri interessi, a prescindere che questo determini un  rischio collettivo.

Ora l’Italia, guidata oggi da chi, quantomeno incautamente, nei mesi passati ha scelto di posizionarsi alla mercé degli interessi geopolitici e strategici del regime cinese, generando in tal modo uno smarcamento del nostro Paese dalle posizioni europee e statunitensi, deve, con onestà intellettuale, fare un passo indietro. Che gli aerei con supposti aiuti arrivino con voli diretti dalla Cina su Roma, o vengano gestiti ad esempio con ponti aerei che li fanno giungere dalla Cina in Italia tramite la Provincia Autonoma di Bolzano in accordo con il governo austriaco, il focus non cambia.

Gli aiuti servono, e dato tutto quanto sopra esposto, sarebbero quantomeno dovuti da parte della Cina, e certo non dovrebbero neppure prevedere una contropartita economica.

Ma andrebbero verificati.

Soddisfano questi materiali gli standard di sicurezza?
Non sarebbe invece opportuno unire le forze, tutti, Italia, Europa, Stati Uniti, Canada, Australia, per far circolare al proprio interno materiali da questi stessi Paesi prodotti che siano in grado di soddisfare standard di sicurezza, anche al costo di investire qualche euro in più?  O vogliamo continuare ad essere ciechi, irresponsabili e senza coscienza?

E’ necessaria una presa di posizione netta e determinata da parte dell’Italia nei confronti del regime cinese. E serve un altrettanto netto distanziamento.  E’ necessario verificare se uno smarcamento netto dell’Italia dalle posizioni cinesi, smarcamento che ad esempio la Lega aveva ben evidenziato come necessario tentando di fermare la firma del Memorandum of Understanding nel 2019 ed invocando motivazioni collegate alla sicurezza nazionale, potrebbe avere l’effetto di riavvicinare le posizioni europee ed italiane, gettando le fondamenta per un’ Europa nuova.

Non servono ulteriori finanziamenti per favorire l’e-learning nelle scuole, solo per fare un esempio e rinviare alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio italiano ieri al Parlamento. Non solo le ricerche rivelano come gli studenti italiani siano, anche grazie all’e-learning attivato con modalità massiva in un momento di crisi emergenziale, sull’orlo di un crollo psicologico insieme alle loro famiglie, ma le nostre infrastrutture sono deboli e sotto stress, e oggi più che mai vulnerabili a possibili attacchi cyber.  Non servono altri fattori che pesino su queste infrastrutture. E soprattutto l’Italia non desidera che la Cina renda questo Paese il proprio vassallo, su cui costruire infrastrutture in cambio di quella che sarebbe una perenne dipendenza.

O vogliamo sottovalutare il rischio cyber di matrice cinese così come abbiamo sottovalutato il rischio biosafety del regime cinese con gli effetti che stiamo oggi vivendo? E ricordarci che, sì, in effetti indicatori di possibile minaccia c’erano, ma non si pensava potessero realizzarsi davvero. E’ questo criterio di ‘impensabilità’ che scopre il fianco agli attacchi, perché non volendo considerare le minacce come possibili, non valutando accuratamente il loro range di probabilità, si etichettano gli avvertimenti di rischio come allarmismi, lasciando così che si aprano baratri di vulnerabilità senza agire alcuna attività preventiva.

Non è più tempo di sottovalutazioni. Non è più tempo di etichettare le posizioni in modo pregiudiziale perché provengono da punti di vista diversi dai propri.

È piuttosto tempo che chi si sa davvero occupare di emergenza, ad esempio le componenti delle Forze Armate che hanno fatto parte di missioni all’estero contribuendo in modo cruciale e coordinato alla stabilizzazione delle crisi, acquisendo esperienza e competenza nella gestione delle stesse, ora possano agire qui le loro competenze, con onestà intellettuale, senza condizionamenti di accordi economici precedenti e totalmente avventati ed incauti con il regime cinese, ma per spirito di servizio.

Questo fanno i militari, e a scanso di equivoci questa non è una proposta di militarizzazione. Si chiama gestione delle crisi, da dispiegare, temporaneamente e come è ovvio che sia all’interno dei confini e del quadro concesso dalla nostra Costituzione.

I rappresentanti politici nelle attività di stabilizzazione delle crisi restano doverosamente sempre attori e parte integrante del sistema, ma proprio per la loro peculiarità sia di finalità che di esperienza e competenze, non possono essere coloro che gestiscono in prima persona la crisi stessa.  Lo coadiuvano, ma non la gestiscono direttamente.

E’ tempo che chi non è in grado o non è nelle condizioni di potersi approcciare in modo adeguato ad una crisi emergenziale di così vasta portata come quella attuale, con serietà e umiltà, si faccia – almeno per ora – da parte, attore insieme agli altri attori politici, ma non protagonista. Per il bene del Paese.

Abbiamo l’opportunità di evolvere, non solo come singoli ma anche come sistema, e anche come Sistema Paese. Serve freschezza di punti di vista, il rilascio di vecchi criteri con cui si sono gestiti sino ad ora gli interessi strategici dell’Italia, uno sguardo nuovo, autentico, coraggioso, e soprattutto, azioni competenti e consapevoli. Che solo se intraprese ora possono, davvero, farci ripartire tutti domani.

 

Autore: Michela Ravarini     ©Copyright reserved    Date: 20200326, Italy

 

 

 

 

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